Educazione Permanente
a cura dei corsisti del laboratorio di Informatica

Con questo numero
comincia la rassegna
dei laboratori di
Educazione Permanente
che si svolgono
alla Bandiera e Moro
o al Saba.


 

Professore, stiamo preparando dei servizi sui corsi per adulti sia nell’ambito delle 150 ore che in quello dell’educazione permanente. Ci proponiamo di illustrare uno di tali corsi in particolare su ogni numero della rivista e pensiamo che la prima cosa da fare sia rivolgerci agli insegnanti. Questa volta cominciamo con lei.
Intanto, ci può dare qualche notizia di carattere personale, a cominciare dal nome, titolo di studio, anni di insegnamento e così via?

Volentieri. Mi chiamo Gianfranco Peretti , sono laureato in architettura e insegno da 24 anni. Dopo alcuni anni di esercizio della professione, ho deciso di dedicarmi completamente all’insegnamento della matematica, prima nella scuola media dell’obbligo e successivamente nei corsi per lavoratori.
A questi ultimi sono approdato nel 1978 e da 13 anni svolgo questa attività alla Bandiera e Moro. Quasi contemporaneamente ho cominciato anche a tenere, insieme ai miei colleghi, quei corsi che noi insegnanti abbiamo battezzato come “educazione permanente”. Li abbiamo chiamati in questo modo perché frequentati da persone che avevano completato il corso delle “150 ore” e desideravano continuare a studiare. Più tardi questi corsi sono cresciuti come numero e come partecipazione e si sono dati una struttura che si chiama ”Associazione Culturale Nicola Saba”. Negli ultimi tre anni, poi, ci è stata data la possibilità di svolgere anche a scuola attività di questo tipo, all’interno dell’orario scolastico.

E quali corsi ha tenuto?

Ho cominciato con dei corsi di approfondimento della matematica, in certi casi della geometria, dato che a scuola il tempo era assai limitato e molti argomenti dovevano essere necessariamente trascurati. Ben presto però ho rivolto la mia attenzione verso l’informatica, anche in coincidenza del fatto che cominciava la diffusione dei personal computer e che le nuove tecnologie stavano per entrare prepotentemente nel mondo del lavoro.

Quali motivazioni l’hanno spinta ad insegnare in questi corsi?

Non lo avrei fatto se insegnare non mi piacesse e anche divertisse; il motivo fondamentale è determinato dalla domanda stessa dei corsisti: è difficile rifiutarsi di rispondere a una richiesta sincera di istruzione. La crescita culturale di tutti i cittadini è una garanzia che possano partecipare alla vita sociale in modo più consapevole; questa è la convinzione (o forse l’illusione) che provoca il mio interesse a questi Corsi.

Quali sono le risposte che derivano dagli stimoli educativo-culturali da lei proposti?

È difficile rispondere a questa domanda. Prima di tutto perché le risposte sono ampiamente differenziate, a seconda delle persone che frequentano i corsi; poi perché la verifica non sempre è possibile. Posso dire però che alcune persone mi seguono da diversi anni e che la loro partecipazione sembra cresciuta nel tempo. Con alcuni sono state condotte esperienze di un certo interesse; voglio solo ricordare un’indagine sull’uso e abuso delle parole straniere e una ricerca sulla famiglia veneziana nell’ ‘800. Come esempio di eccellente risposta ai miei stimoli potrei citare il caso di Aldo (a proposito, vi consiglierei di intervistarlo) che é diventato un vero “esperto” ed ha elaborato un programma di grande complessità e di livello professionale, al punto che potrebbe anche essere messo in commercio.

Quali problemi si ritrova ad affrontare con maggiore frequenza?

Ci sono almeno un paio di problemi che si ripresentano con puntualità.
Uno è la grande differenziazione esistente fra i corsisti sul piano culturale; si va da quelli che hanno appena terminato i corsi 150 ore, ai diplomati o addirittura laureati. Ciò non pregiudica radicalmente la formazione delle classi, ma impone uno sforzo di adattamento da parte di tutti non indifferente. La diversa preparazione si riflette soprattutto in una diversa velocità nell’apprendimento, che a volte genera ansia negli uni e impazienza negli altri. L’altro è la frequenza non sempre costante dei partecipanti, o addirittura l’abbandono di alcuni. Le cause di ciò non sempre sono chiare: a volte si tratta di problemi personali o legati al lavoro, a volte dovute alla difficoltà di seguire. Purtroppo non ho l’opportunità di valutare l’incidenza di queste motivazioni. Non escludo che il primo problema si possa riflettere su quest’ultimo.

Ritiene gratificante il suo lavoro?

Certamente: tenuto conto del fatto che una parte di questo lavoro è volontario e che mi impegna un numero considerevole di ore anche fuori dell’orario scolastico, vi renderete conto che non può che essere che così.

Che tipo di rapporti si instaurano con i partecipanti ai corsi?

Anche questa è una domanda che richiederebbe risposte differenziate, perché dipende dalle persone e anche dalla durata della loro permanenza. Dal punto di vista didattico, posso dire che i rapporti con i corsisti sono ottimi, dal momento che la loro partecipazione è volontaria e l’interesse è scontato. Sul piano personale, beh, sapete che io non sono un tipo decisamente estroverso e allora, almeno esternamente, sembrerebbero piuttosto freddi; non è così. Anzi, in alcuni casi potrei dire che si sono instaurati rapporti di amicizia.

Ritiene che l’attuale situazione permetta di sviluppare pienamente tutte le risorse disponibili?

Certamente la situazione in cui ci troviamo non è la migliore, da molti punti di vista. Innanzitutto vi è la precarietà in cui i corsi di Educazione Permanente si trovano; ogni anno la loro conferma è affidata alla buona volontà degli operatori, alla loro capacità di far sentire le loro ragioni alle autorità competenti e anche alla determinazione dei corsisti a considerare il loro diritto all’istruzione una conquista irrinunciabile. Inoltre questi corsi sono legati, per loro natura, alle “150 ore” e questi ultimi si trovano in una situazione di crisi, con una diminuzione delle iscrizioni ogni anno più preoccupante e la spada di Damocle della chiusura almeno in alcune zone del nostro territorio.
Anche per questo è stata creata l’Associazione Culturale Nicola Saba; questa infatti è in grado di garantire lo svolgimento dei corsi indipendentemente dalla volontà delle autorità scolastiche; naturalmente con difficoltà non indifferenti che impongono maggiori sacrifici sia agli operatori che ai corsisti. Il maggior problema deriva dalla difficoltà a reperire delle sedi adatte allo svolgimento dei corsi.

Esistono delle esperienze simili in altre parti d’Italia? E all’estero?
Nel caso di risposta positiva sono stati realizzati dei contatti con coloro che attivavano esperienze similari?

Esistono esperienze simili sia in Italia che all’ estero, anche se di queste ultime non ho conoscenza diretta. Per quanto riguarda l’Italia, in varie occasioni queste esperienze sono state confrontate e noi stessi abbiamo avuto contatti con le iniziative presenti sul nostro territorio, ma anche di altre zone del Veneto.

Ritiene che la dotazione di materiale didattico sia adeguata o che debba essere integrata da ulteriori strumenti? Quali sono le risposte delle autorità scolastiche alle vostre richieste di dotazione di uomini e mezzi?

Prima di rispondere a questa domanda, mi viene il dubbio di avere, con le mie risposte, rubato dello spazio che invece appartiene a tutti, mentre avrei dovuto, ma è colpa anche delle vostre domande, occuparmi di più del mio laboratorio. Da ora in poi sarò più sintetico e più pertinente.
La risposta alla vostra domanda è no. Occorrerebbero delle macchine più recenti e in numero maggiore. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, sappiate che quasi nessuna attrezzatura che noi usiamo appartiene alla scuola; il materiale e le macchine ci sono fornite dal “Saba”. Richieste alle autorità scolastiche sarebbero una perdita di tempo. Non ci sono soldi! A voi tutte le considerazioni che si possono fare sulla destinazione che i soldi dei contribuenti prendono. Detto questo, bisogna anche ammettere che da parte degli organi scolastici della Bandiera e Moro, da parte del personale e soprattutto della preside, ho avuto sempre ampia collaborazione.

Pensa che questo tipo di corsi possano avere un futuro?

Questo dipende, prima di tutto, dall’ impegno che ognuno di noi e di voi saprà mettere per difenderli; ma credo che se vogliamo avere la certezza che sopravvivano e si sviluppino, dobbiamo creare le condizioni affinché muti radicalmente l’atteggiamento dei nostri governanti nei confronti della cultura. Vale a dire che la cultura dovrà essere considerata una necessità, non un “optional”.

Quali altri corsi od attività a suo parere andrebbero attivati?

Tutti quelli che la gente richiede.

Nel corso degli anni ha potuto verificare una modificazione dei partecipanti ai corsi?

Per quanto riguarda i miei corsi, c’è stato un cambiamento. È aumentata la percentuale dei giovani e il grado di istruzione dei corsisti; molti sono diplomati, alcuni sono studenti universitari e anche laureati.

Ritiene di aver commesso nel corso della sua attività come docente degli errori? Potrebbe elencarli ed indicarci quali potevano essere state le ragioni?

Sicuramente ho commesso degli errori; la maggior parte per inesperienza e quindi dovrebbero tendere a diminuire di frequenza; ad esempio, penso di non aver sempre saputo valutare la capacità delle persone che seguivano i corsi e quindi adattare a queste capacità la programmazione e i livelli di approfondimento.

Nel caso in cui potesse ritornare indietro nel tempo deciderebbe nuovamente di insegnare in questi corsi?

Si.

Quali corsi di aggiornamento ha frequentato durante gli anni di insegnamento in questa attività? Nel caso di risposta positiva, essi erano stati organizzati dall’autorità scolastica o dovuti a una sua scelta autonoma?

Ho frequentato alcuni convegni di informatica. organizzati da associazioni private.
Dalle autorità scolastiche non ho mai ricevuto niente.

Due ricerche fatte negli anni passati dal laboratorio di informatica e pubblicate in forma di opuscolo.