I Lavori dei Corsisti

Cominciamo da questo numero a proporre all’attenzione dei lettori un saggio dei lavori fatti dai corsisti nei vari laboratori.È la volta del corso di “scrittura”, con due componimenti, uno in prosa e l’altro in poesia.

di Ardelia Boscolo

Lo giuro! Non sono una nostalgica del tempo che fu, ma accidenti, gli anni passano vorticosamente e con gli anni vanno cambiando modi di dire e di fare, di conseguenza la gente qualcosa perde delle proprie abitudini e qualcosa acquista da altri.
Ciò si verifica tantissimo nel linguaggio. Rispetto al passato, adesso c’è più istruzione. Se, per esempio, mi avessero parlato di bioritmo (affinità) avrei chiesto se è una malattia, tanto per dirne una. Senza tirare in ballo gli inglesismi che ormai sono di uso comune: SHOPPING, FEELING, PICNIC, HANDICAP. Quest’ultimo è tremendo; quando si vuole definire un minorato fisico e si dice: “portatore di handicap”, allora mi si visualizza uno sfortunato che cammina tutto curvo per il peso che deve portare, che è un peso veramente grande, ma non si può di certo misurare in chili.
Certi mestieri hanno cambiato nome. Prendiamo lo spazzino.
Era già stato rinominato il netturbino, definizione che aveva abbastanza senso come pulitore di città, ma adesso??? Operatore ecologico!!! Non vi dà l’idea di qualcuno in camice bianco che studia, con provette ed alambicchi, per cambiare il sistema igienico-sanitario di questa povera terra? A proposito di operatore, una volta mio figlio ha vinto un concorso per operatore sanitario. Visto che è perito chimico, io pensavo che venisse destinato a qualche gabinetto di ricerca. Ma quale gabinetto! Quello del WC! Perché alla fine si trattava di far pulizia ai pavimenti, lavare le padelle (schifo) e fare il portantino. Un pò di tutto insomma e niente di esilarante. Pensare che quasi quasi lo vedevo con berrettino verde e mascherina, in sala operatoria che aiutava il chirurgo. Santa illusione materna che non manca mai! Ciechi? Adesso non vedenti. Tutta ipocrisia in queste nuove definizioni. Nella sostanza la cosa non cambia. Serva, colf, lavoratrice domestica, aiutante familiare, cosa cambia? Solo il modo di dire. Di una persona grassa si dice che è robusta, di un idiota minorato psichico, e così via. Il fatto che indoriamo con parole altisonanti i bisogni di tutti i giorni e abbelliamo la nostra pochevolezza con tanta aria fritta, che sia questa la causa del cambiamento dei modi di dire?
Così l’alcolista non è più il povero ubriacone, ma l’ex alcolizzato rimesso a nuovo! Il guaio è che la parola nuova non gli impedisce quando ha fatto il pieno, di traballare e di farfugliare.
E le origini di certi modi di dire? Simpaticissimi! Uno tutto veneto: cao da merda (carta igienica usata nelle vecchie galee), (poverini se avevano le emorroidi), il tirapiedi (l’aiutante del boia), essere di manica larga (ricorda la maggior facilità di assoluzione dei frati) e chi più ne ha più ne metta. Potrei continuare ma non voglio essere stucchevole (anche se con lo stucco non ho niente da spartire). A chi vuole, la fantasia di andare avanti.

P.S. Dice Savage (?): “Il presente è come una nota musicale che da sola non significa nulla se non la si collega con quello che è avvenuto prima e a ciò che verrà dopo.”
Dice Platone: “Il saggio vede le cose prima che avvengano, mentre lo sciocco si meraviglia quando sono avvenute.”
Amalgamando le due massime io direi che l’umanità essendo un pò saggia e un pò sciocca, va avanti senza aver imparato niente dal passato e con tanta incoscienza affronta l’avvenire. Pensierino sibillino ma non troppo!

di Stefania Zennaro

 

NONNA

Seduta sul divano,
la schiena appoggiata ai cuscini.
Un libro in mano,
un paio di riviste appoggiate a fianco.
La radio, tenuta a basso volume,
diffonde la voce cantilenante
di un cronista.
Ma nemmeno il tepore
del confortevole ambiente
sa sciogliere il freddo della solitudine.
E nel pomeriggio che non finisce mai
non ci sono più né le parole scritte
né quelle udite...
Solo i suoni vibranti dei pensieri interiori.
Troppo tristi per essere ascoltati!
Depone il libro, spegne la radio.
È lo squillo del telefono
a destare il suo torpore:
- Nonna, vieni a cena da noi? –
E la casa è nuovamente piena
di tutti i graditi rumori della vita.