I Nuovi Corsi



di Gabriella Zavan

Il corso di spagnolo, iniziato lo scorso anno, sta andando alla grande. Sempre più numerosi sono gli iscritti per cui è stato necessario aprirne uno nuovo per i principianti.












Sono entrata per la prima volta alla "Giulio Cesare" in una calda giornata di luglio, in un momento particolare della mia vita. Mi avevano indicato questa scuola come "polo dell’educazione permanente degli adulti". Dietro queste parole altisonanti, speravo mi si aprisse qualche possibilità di inserimento; magari insegnando italiano agli stranieri, pensavo. Lì ho incontrato il prof. Stoppani, uno di quei professori speciali che si trovano nelle scuole nelle calde giornate di luglio. Gli ho spiegato cosa sapevo fare e gli ho presentato la mia richiesta.
"Insegnare italiano è impossibile perché fa parte dell’insegnamento curricolare, mi ha spiegato, però ci sarebbero numerose richieste per un corso di spagnolo…"
Lo spagnolo è una lingua che ho sempre amato, sonora, gioiosa e nel contempo aspra e forte, come la terra di Spagna. Ho accettato. In ottobre la prima lezione.
Sono entrata con una certa titubanza, nascosta da un brioso ¡Hola, qué tal! Era la prima volta che mi trovavo a operare in una situazione "non scolastica", senza la "corazza" di programmi ufficiali, registri, voti, esami ….
È iniziata, così, un’esperienza che non esito a definire entusiasmante.
Dopo aver illustrato il mio metodo, che mirava alla comprensione di testi e alla comunicazione, pur con i necessari "puntelli" grammaticali, siamo partiti. Approfittando di una certa affinità dello spagnolo con la nostra lingua, abbiamo subito introdotto brevi dialoghi, che più tardi si sono trasformati in gustose scenette, letture, piccole composizioni. E non ci siamo limitati alla lingua!
Periodicamente abbiamo esaminato qualche aspetto della cultura spagnola: alcuni poeti, Neruda, Machado, García Lorca (la cui lettura ci ha fatto trascorrere alcune ore di tensione emotiva assieme ai corsisti che frequentano il corso di poesia del prof. Stoppani); e poi canzoni, e la "scoperta" di un compositore, Manuel de Falla, e di un regista, Carlos Saura, attraverso la magia, la musica e il flamenco de "El amor brujo". Inoltre, con la collaborazione dei corsisti e dell’associazione Saba, abbiamo costituito una piccola biblioteca di libri in lingua spagnola.
Insomma, un’esperienza che ci ha arricchito tutti, me per prima. L’entusiasmo e l’impegno di persone desiderose di apprendere per se stesse, svincolate da fini pratici immediati, quali il diploma o il lavoro, ha dato una dimensione nuova al mio insegnamento e mi ha permesso di gustare intensamente il piacere di condividere con altri le mie conoscenze.
Alla fine dell’anno, una corsista mi ha detto: "Mi sento commossa a pensare che, non più giovanissimi, possiamo ancora imparare, cantare, leggere poesie insieme. È un grande regalo!"
E abbiamo concluso il nostro corso con una canzone cilena, composta e resa famosa da Violeta Parra:


Gracias a la vida


Gracias a la vida, que me ha dado tanto:
me dio dos luceros que, cuando los abro,
perfecto distingo lo negro del blanco,
y en el alto cielo, su fondo estrellado
y en las multitudes, el hombre que yo amo.

Gracias a la vida, que me ha dado tanto:
me ha dado el oído, que en todo su ancho
graba noche y día grillos y canarios,
martillos, turbinas, labridos, chubascos
y la voz tan tierna de mi bienamado.

Gracias a la vida, que me ha dado tanto:
me ha dado el sonido y el abecedario.
Con él las palabras que pienso y declaro,
madre, amigo, hermano y luz alumbrando
la ruta del alma del que estoy amando.


Gracias a la vida, que me ha dado tanto:
me ha dado la marcha de mis pies cansados.
Con ellos anduve ciudades y charcos,
playas y desiertos, monta
ñas y llanos
y la casa tuya, tu calle y tu patio.

Gracias a la vida, que me ha dado tanto:
me dio el corazón, que agita su marco,
cuando miro el fruto del cerebro humano,
cuando miro el bueno tan lejos del malo,
cuando miro el fondo de tus ojos claros.

Gracias a la vida, que me ha dado tanto:
me ha dado la risa y me ha dado el llanto.
Así yo distingo dicha de quebranto,
los dos materiales que forman mi canto
y el canto de ustedes, que es el mismo canto
y el canto de todos, que es mi proprio canto.

Gracias a la vida Violeta Parra




Scaletèr –
Il nome di scaletèr proviene da certe ciambelle, che usavansi in antico specialmente nei matrimoni, e che appellavansi scalete perché avevano impressi alcuni segni somiglianti ad una inferrata, oppure ai gradini d’una piccola scala. Gli scaleteri si eressero in corpo nel 1493, ed avevano scuola di devozione in chiesa di S. Fantino, sotto il patrocinio di questo santo. Ma verso la metà dell’800 si era introdotto nell’arte suddetta un numero così grande di Grigioni, appartenenti al protestantesimo, che la scuola di S. Fantino restò per qualche tempo abbandonata, e le riduzioni si facevano nel Magistrato del Fontengo della Farina a Rialto. Ciò diede motivo al senato di proibire che i Grigioni venissero accettati nell’arte. Gli scaleteri contavano, nel 1773, 59 botteghe. Il Capitolare faceva divieto agli Scaleteri di lavorare o far lavorare in pasta done, cavoli, gali, oxeli, calisoni né cesteli. Non potevano portare per Venezia più di una cassa con scalete e confortini né andare per le chiese durante la cerimonia della cresima. Era inoltre proibito portar piavole, né done né buzolai imbroai alle feste e al pallio di Lido né gridare per le strade eccettuati S. Marco e Rialto. Esistono tutt’ora a Venezia molte Calli, Corti e Ponti del Scaletèr. Da Curiosità veneziane di Giuseppe Tassini.