Corso di Letteratura

Quel ramo del lago di Como…



a cura di Alberta Salmeri


«L’Historia si può veramente definire una guerra illustre contro il Tempo, perché togliendoli di mano gl’anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadaveri, li richiama in vita, li passa in rassegna, e li schiera di nuovo in battaglia….” Dall’introduzione

 

 

 

 

 

 

 

 


Villa Manzoni al Caleotto

 

 

 


Don Abbondio e i Bravi

 

 

 

 

 

 
























Quel ramo del Lago di Como, che volge al mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli...

 

 

 










Renzo e Lucia


Aspetto fisico del Manzoni

Aspetto fisico del Manzoni Aveva il naso lungo, la bocca affilata, il labbro inferiore e il mento un po’ sporgenti, gli occhi chiari, luminosi, scintillanti.

Vestito semplicemente di grigio o di nero, camminava con le spalle alte verso il capo e se vedeva qualcuno per la prima volta si rannicchiava ancora di più, mentre faceva il primo inchino.

Nessuno riusciva a capire quali pensieri si nascondessero dietro gli occhi mobilissimi di questo padre distratto, di questo dilettante di giardini e di letteratura, di quest’ombra squisita ed elegante.




Alessandro Manzoni

Vita e opere

Alessandro Manzoni nasce a Milano nel 1785 da Pietro e Giulia Beccaria.
Il matrimonio dei genitori non è felice, Giulia Beccaria lascia così il marito e va a vivere a Parigi.
Alessandro vive dapprima in collegio, ma, dopo la morte del padre, raggiunge la madre. Gli anni nella capitale francese, dal 1805 al 1810, sono decisivi nella sua formazione culturale, che è sostanzialmente di stampo illuminista, razionalista e anticlericale.
L’avvenimento più importante della sua vita sarà perciò la conversione al cattolicesimo, che avverrà intorno al 1810, due anni dopo il suo matrimonio con Enrichetta Blondel.
Lo stesso anno della sua conversione Manzoni torna a vivere a Milano, dove resterà poi fino alla morte, ad eccezione di alcuni mesi trascorsi a Parigi, tra il 1819 e il 1820, e di qualche breve viaggio a Firenze, nel 1827 e nel 1856. L’esistenza dello scrittore trascorre quindi nel lavoro e nell’intimità familiare, lontano dalla curiosità e dagli impegni mondani, tra Milano e la sua villa di Brusuglio, nella campagna lombarda. Ecco perché, oltre alle date di pubblicazione delle sue opere, pochi sono i fatti da registrare della sua lunga vita, protrattasi fino al 1873 e attraversata da dolorosi lutti: la morte, nel 1833, della prima adorata moglie; poi, quella della madre, nel 1841; della seconda moglie Teresa Stampa, nel 1861; e infine di ben sei dei suoi otto figli. Tra i pochi avvenimenti della vita manzoniana si ricorderanno la partecipazione, nel 1861, dopo la nomina a senatore del nuovo Regno d’Italia, alla prima seduta del Parlamento; il suo intervento, nel 1864, alla votazione per il trasferimento della capitale da Torino a Firenze; l’accettazione, nel 1870, della cittadinanza romana, per dimostrare pubblicamente la propria convinzione della necessità della scomparsa del potere temporale della Chiesa.
Le opere giovanili di Manzoni nascono nel clima culturale milanese, dominato dalla presenza di Vincenzo Monti. Così è del Trionfo della libertà, composto dopo la pace di Luneville, nel 1801, e così è anche dell’epistola in versi l’Adda, del 1803. Più tardi, nei Sermoni (1804), Manzoni tenta i modi della poesia satirica, guardando al Parini come maestro. Il testo più maturo e signifìcativo dell’opera giovanile manzoniana è tuttavia il carme In morte di Carlo Imbonati (1805), che costituisce un documento assai eloquente della precoce e robusta maturità morale di Manzoni, della sua ricerca di un programma austero di vita.


Gli sposi promessi

I “Promessi Sposi”, senza ombra di dubbio, è il romanzo più famoso della letteratura italiana. 
Scritto per la prima volta nel 1821, aveva come titolo “Fermo e Lucia” e divenne in seguito “Gli sposi promessi”. In questa prima edizione, erano diversi sia i nomi di alcuni personaggi, sia alcuni episodi. La lingua utilizzata era “un composto indigesto”, fatto di frasi un pò lombarde, un pò toscane, un pò francesi e un pò anche latine. 
Insoddisfatto per tale motivo, il Manzoni si rimise all’opera cercando di correggere costrutti e vocaboli. Ne uscì un secondo romanzo, che fu pubblicato nel 1827 col titolo “I Promessi Sposi, storia milanese del sec. XVII, scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni”. Fu un successo strepitoso. In meno di venti giorni se ne vendettero seicento copie. 
Tra la prima e la seconda stesura c’è una notevole differenza: nella prima è possibile evincere una concezione totalmente pessimistica della vita, mentre nella seconda il pessimismo è mitigato dalla fede nella Provvidenza e nella Giustizia di Dio. 
Ma il Manzoni non era contento neanche della seconda redazione perché la lingua gli sembrava ancora piena di lombardismi. 
Nello stesso anno, il 1827, si recò, pertanto, a Firenze a “risciacquare - come egli diceva - i cenci in Arno” e sottopose il suo romanzo ad un’accurata revisione linguistica sul modello del fiorentino. 
Si ebbe così la terza e definitiva edizione del romanzo, che fu pubblicata tra il 1840 ed il 1842.


La storia autentica della poesia manzoniana inizia però con gli Inni sacri, che testimoniano della conversione religiosa del loro autore. 
Dopo la conversione al cattolicesimo, Manzoni progetta una serie di dodici Inni sacri, dedicati ciascuno ad una festività della Chiesa: di essi ne porterà a termine solo cinque, i primi quattro fra il 1812 e il 1815 (La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione) e il quinto (La Pentecoste) tra il 1817 e il 1822. In questi Inni Manzoni non si occupa soltanto degli aspetti dogmatici e teologici del cristianesimo, ma soprattutto dei suoi aspetti morali e sociali, più direttamente vissuti dalla coscienza religiosa popolare. 
Dopo la stagione degli Inni sacri, tra il 1815 e il 1822, si apre un altro lungo periodo di riflessione inferiore che porta ad un crudo pessimismo: la conquista di un «credo» religioso viene sottoposta ad un processo di discussione, mentre l’attenzione di Manzoni si apre ad una complessa visione delle ragioni dell’esistenza e si sforza di rintracciare nella storia i segni visibili di una presenza divina. In questo periodo di riflessione nascono le odi civili, e tra di esse il Marzo 1821, in cui Manzoni, celebrando l’unirsi delle forze piemontesi e lombarde contro l’oppressore austriaco (un’unione in cui egli scorge il segno della volontà di Dio), proclama il suo ideale unitario di patria, nel sogno di un’Italia «una d’arme, di lingua, d’altare».
Più che in queste odi, tuttavia, è nelle tragedie che si può osservare l’ampliarsi della problematica manzoniana.
Ciò che importa allo scrittore, nel suo teatro, è la rappresentazione di una drammatica tensione morale dei suoi personaggi: i quali, quanto più sono impegnati a combattere per un ideale generoso, tanto più appaiono poi travolti dalle leggi della forza e della violenza che dominano il mondo. È questa la situazione del Conte di Carmagnola (1820), ma soprattutto dell’Adelchi (1822), nella quale è rappresentato il momento conclusivo della guerra tra franchi e longobardi. Adelchi, figlio di Desiderio, re dei longobardi, è il personaggio-chiave della tragedia. Al fedele Anfrido confessa in un momento di smarrimento: «Il core mi comanda/ alte e nobili cose; e la fortuna [il destino]/ mi comanda ad inique». Ed in ciò sta la sua personale vicenda drammatica e il problema morale che Manzoni vuol rappresentare. La realtà si oppone al desiderio dell’uomo di operare nel giusto; ogni sua azione sfocia in una direzione opposta a quella voluta. Ed è proprio questa condizione assurda, ma tragica, in cui l’uomo viene a trovarsi, che determina quella scelta a non agire.
Solo non agendo è possibile infatti non commettere il male: Adelchi, «trascinato» per una via che non ha potuto scegliere, germe «caduto in rio [cattivo] terreno/ e balzato dal vento », diviene così l’eroe romantico della non azione. Nell’ambito di questi problemi si pone anche l’ode celebrativa scritta in occasione della morte di Napoleone Bonaparte, il Cinque maggio, del 1821. L’immagine di Napoleone, «folgorante in solio» (splendente in trono) prima, e sopraffatto poi dai ricordi nell’«ozio» dell’esilio, pare diventare l’immagine simbolo di un uomo che, pur nell’aspirazione a portare nel mondo le idee per una vita più giusta, seminava l’Europa di stragi. Senonché, rispetto all’Adelchi, nel Cinque maggio i termini appaiono capovolti: il destino di Napoleone, svela in realtà l’«orma» di un preciso disegno provvidenziale di Dio, riassume simbolicamente il percorso stesso della storia, la quale, attraverso la sua tragica vicenda di sangue e di violenza, sfocia a giuste conquiste. E da questa concezione della storia, in cui la Provvidenza divina segna il suo cammino, nascerà il capolavoro manzoniano, I promessi sposi appunto, pubblicato una prima volta nel 1827 e, in edizione definitiva, nel 1840. Tra le due edizioni del romanzo e dopo l’edizione definitiva dei Promessi sposi c’è un lungo periodo di silenzio creativo, il quale è appena interrotto dalla pubblicazione di alcune opere a carattere storico: il dialogo Dell’invenzione, del 1840; la Storia della colonna infame, del 1842, che riprende il tema della peste; il discorso Del romanzo e in genere dei componimenti misti di storia e d’invenzione, del 1845, dove Manzoni giunge a condannare il dramma e il romanzo storico, riconoscendo solo nella storia quel «vero» che lo scrittore deve perseguire. 
Più importanti saranno però i suoi scritti sulla lingua. Attraverso una serie di testi (Sulla lingua italiana e Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla, ambedue del 1845; Lettera al marchese Casanova, del 1871), Manzoni elabora infatti una sua organica teoria linguistica, la quale trova il suo punto di riferimento costante nel principio che la lingua scritta deve accostarsi a quella parlata.
La norma di ogni scelta linguistica non sta quindi in una conferma che venga da un uso letterario, ma semplicemente nella conferma del parlato. Su questa base teorica Manzoni discute il problema dell’unità linguistica italiana: essa, vista la diversificazione notevole della lingua parlata nelle varie regioni, non può essere raggiunta che attraverso l’uniformarsi delle singole parlate a quella di maggior prestigio, cioè alla fiorentina. Nel parlato fiorentino delle persone colte, Manzoni indica perciò la norma da seguire per l’unificazione linguistica italiana.

Dal sito www.webfullservice.it/promessisposi.



Il periodo storico del romanzo

Il Seicento è il secolo della preponderanza spagnola in Europa e particolarmente in Italia, dove, tranne qualche moto popolare suggerito dal disagio economico più che da precise idealità politiche (Masaniello a Napoli, Giuseppe D’Alessi a Palermo) l’atmosfera è di completa sottomissione alla Spagna, la cui influenza si fa sentire anche in quegli Stati che non sono soggetti alla sua autorità. Solo da parte del Ducato di Savoia si profila una politica di maggiore indipendenza e talvolta di opposizione. Gli avvenimenti europei più notevoli nella prima metà del Seicento sono la Guerra dei Trent’anni e la Rivoluzione inglese. La Guerra dei Trent’anni è una nuova manifestazione delle lotte religiose, in cui, come sempre, si inseriscono precisi moventi politici. Nel suo corso (1618-1648), essa vede schierati gli uni contro gli altri i principali Stati dell’Europa. La conclude la pace di Westfalia, che segna il tramonto dell’egemonia degli Asburgo, il trionfo della Francia, il riconoscimento definitivo dell’indipendenza dell’Olanda e, sul piano religioso, la conferma dei diritti delle confessioni extracattoliche.
Ormai la Francia, anche per merito dei suoi grandi ministri (il cardinale di Richelieu e il cardinale Mazzarino), inizia la sua ascesa al ruolo di grande potenza, contrapponendosi in tal modo alla preponderanza spagnola.
In Inghilterra, intanto, a conclusione della guerra civile provocata dalla limitazione dei diritti del Parlamento da parte di Carlo I Stuart, nel 1648 la monarchia è deposta e l’anno successivo il re viene decapitato, mentre il potere è assunto da Oliviero Cromwell col titolo di Lord Protector. Sotto il Cromwell si ha l’Atto di navigazione (1651), che costituisce la solenne affermazione dell’egemonia dell’Inghilterra sui mari. Alla morte del Cromwell (1658) cui succede per breve tempo il figlio Riccardo, il popolo inglese restaura nel 1660 la monarchia con Carlo II Stuart. Morto quest’ultimo (1685) sale al trono Giacomo II, sotto il quale si ha la seconda rivoluzione che vede l’avvento al potere di Guglielmo III d’Orange, marito di Maria, figlia di Giacomo II. In questa occasione, il Parlamento inglese fa giurare ai nuovi sovrani la Dichiarazione dei Diritti, che riconferma le tradizionali prerogative delle due Camere e dà all’Inghilterra la fisionomia di monarchia costituzionale che manterrà in futuro. Grandeggia, nella seconda metà del Seicento, la figura del re di Francia Luigi XIV (1643-1715) che durante i settantadue anni del suo regno assicura al suo Paese un incontestabile primato in Europa. Sotto di lui l’assolutismo monarchico raggiunge il suo culmine. Per quanto riguarda l’Italia il trattato di Chateau-Cambrèsis assegnò alla Spagna il dominio su quasi tutta l’Italia, che fu il peggiore fra quanti essa dovette sopportare: scomparve ogni sentimento di indipendenza e di libertà politica; il fiscalismo avvilì i sudditi e impoverì il paese; industria e commercio decaddero, le terre furono abbandonate; la popolazione diminuì paurosamente. Ma non meno che nel campo materiale, quel triste governo influì su quello morale: la servitù insegnò a mentire ed adulare, la prepotenza dei dominatori fu imitata dai signorotti italiani che servivano vergognosamente i potenti e opprimevano i fratelli che stavano in basso. Le leggi c’erano ma non c’era chi le facesse rispettare, sicchè regnava l’arbitrio e la vendetta privata. Al posto del sentimento religioso dominava l’ipocrisia. Ogni ideale era scomparso. Le pagine dei promessi Sposi del Manzoni sono la più luminosa testimonianza di questo periodo storico.