Incontri poetici
di Milo Polles
Gli incontri sulla produzione poetica di quattro autori sono stati attuati come prefissato con il prof. Gabriele Stoppani.


Milo Polles


Giovanni Pascoli


Cesare Pavese


Sergej Esenin


Nazim Hikmet

 

05/12/03. Il percorso familiare, intimo, professionale e pubblico di Giovanni Pascoli (1855-1912) viene supportato dalla lettura di molte composizioni, tratte da Myricae, da Nuovi Poemetti, dai Canti di Castelvecchio, da L’Ultimo Viaggio (confrontato con L’Ulisse dannunziano), dalla successione di numerose strofe di Italy, poemetto sperimentale ardito per ritmi e linguaggio, da breve esposizione della teoria Il Fanciullino, e, ancora, da Poemi Conviviali.
Le considerazioni finali insistono nella capacità e la potenza discreta del poetare di G. Pascoli, nobile spirito che bagna un maggese di autori ancora carducciani; che irrora il territorio letterario nazionale di fine ‘800; e che nutre col suo magistero –gli è riconosciuto- molto successivo comporre in versi di noti poeti, fino alla metà del secolo scorso.

30/01/04. L’incontro dedicato a Cesare Pavese risulta impegnativo ed esaltante: notizie biografiche e testi poetici s’intrecciano, si annodano, faticano (con qualche speranza più dichiarata che sentita, ma senza illusione) per cadenzare una vita di impegno intenso, inzeppata di esemplari traduzioni, di attenta editoria, di infelici rapporti con le donne (tranne forse con Fernanda Pivano, già sua allieva, alla quale sono dedicate alcune composizioni).
Gli scritti di Pavese hanno influenzato generazioni.
L’opera più alta rimane Lavorare Stanca, una teoria di poesie divise in sei gruppi, ordinati dall’autore stesso, che formano un poema: si vive la realtà da desituati, pensando o sognando l’altrove come luogo esotico; soltanto alla fine

Non c’è cosa più amara che l’alba
in cui nulla accadrà. ..........
Quando l’ultima stella si spegne nel cielo…

l’uomo solo nota d’assistere un trascorrere di giorni e basta.
La lettura integrale, o di parti, insolita capacità compositiva, originali angolazioni dei paesaggi urbani o collinari, l’agro agire di maschi e femmine, portando l’opera –autentico adagio musicale- alla ricezione eccezionale degli astanti.
La chiusa dell’incontro si avvale del ritmo accelerato di La terra e la morte e Verrà’ la morte e avrà i tuoi occhi.
E la morte viene a Torino con un colpo di pistola suicida.

05/03/04. L’arte poetica di Sergej Esenin (1895-1925) esplode e brilla, segnando per sempre la letteratura russa: voce alta, la sua, dolce e rabida ad un tempo, scapigliata e di sognante malinconia, attraversa dieci anni di tumultuosi avvenimenti, rimanendo limpida, tecnicamente e bellamente ordinata e fedele a sé.
Un ambiente povero, contadino, religioso ed oppresso, ma colmo di umano sentire; e, poi, la rivoluzione russa; le esaltazioni alcooliche pubbliche e private, le esaltazioni erotiche con Isadora Duncan; le aspirazioni libertarie presto tarpate; i viaggi al sud e sempre amori brucianti con donne appassionate e innamorate; il progressivo allucinato sentire la morte; ed infine la fine, ufficialmente per suicidio, nella stanza d’albergo: la meteora Esenin s’è consumata.
Così, il terzo incontro tenta un commento storicizzato con cenni a movimenti letterari ed artistici contemporanei a Esenin, utilizzando pure i nomi di Blok, Majakovskij, Pasternak.
Alcuni testi in lingua originale sono letti dalla signora Tamara Patrina: comprensibile la curiosità e soddisfatta sorpresa delle persone presenti.

14/05/04. Infine Nazim Hikmet (1902-1963). Nipote d’un pascià, muove le prime esperienze in elevata ed agitata condizione sociale, in un ambiente familiare di tradizioni ottomane eppure progredito, curato dalla madre, donna colta, aggiornata e pittrice notevole. Ma è ancora limbo, finché Kemal Atatürk promuoverà la fronda militare e le conseguenti azioni politiche per trasformare l’Anatolia ottomana in Turchia.
Allora Nazim diserta l’accademia navale; con piglio libertario e nazionalista si porta al servizio di Atatürk, che lo invia ad istruire i contadini dell’interno: le condizioni di arretratezza biblica sono l’abbaglio, muovono una tensione di rivolta in Hikmet, che d’ora in avanti sarà rivoluzionario, sempre. Allora Nazim dilata l’impegno e intanto scrive. Scrive e viene pubblicato e acquista notorietà.
Tuttavia, malgrado le notevoli riforme, la condizione dei contadini non muta; Atatürk rimane nazionalista e per mantenere l’ordine reprime.
Allora Nazim è contro. Usa la scrittura in versi come antagonismo politico. Atatürk lo vuole ancora. Nazim si fida e a piedi scappa verso la Germania, poi devia fino a Mosca per abbeverarsi di rivoluzione; intanto studia e scrive; conosce Esenin, Majakovskij, Chagall, Pasternak. Rientra in Turchia: arresto, condanna carcerazione. Scrive Si ammala Scrive. Tutto diventa testo poetico; da inviare clandestinamente oltre la grata del carcere, oltre la particolare vigilanza a lui dedicata. Scrive poesie d’amore e i settantasettemila versi dei Paesaggi umani, otto libri, di cui poco rimane, eppure sufficienti a testimoniare un grande e originale poeta, conosciuto nel mondo, ma ancora censurato e proibito in patria. Sì, perché Hikmet rimane turco, scrive in lingua turca moderna, sogna una Turchia libera.
Nel 1950, dopo 22 anni di carcerazione, a motivo d’una perorazione internazionale, l’apparato concede gli arresti domiciliari con stretta vigilanza poliziesca, che Hikmet elude, tornando venturosamente a Mosca. La moglie incinta resta ostaggio del governo; in seguito riparerà all’estero col figlio.
Hikmet viaggia molto, malgrado la malattia; scrive molto, anche 25 lavori teatrali.
Opportunemente assemblata dal prof. Stoppani, una estesa nota bio-antologica viene distribuita nei giorni precedenti l’incontro; il 4°. L’incontro, cosparso e puntellato da sintetiche liriche, anche dal preveggente episodio del funerale di se stesso, è sostenuto dalle lunghe narrazioni dei Paesaggi umani, dove s’incontra una realtà, elaborata da pietas universale, vuoi su delitti abominevoli, vuoi sulla freschezza o la fatica del vivere, vuoi sulla desolazione della steppa, vuoi…; ma dove il poeta rivoluzionario cala l’attimo armonico con voce asciutta e icastica, quasi una frustata.