Gastronomia
di Vianello Barbara e Nardo Annamaria
Cominciamo a stabilire che sono lo stesso pesce, cioè il merluzzo, ma che cambia il metodo di conservazione: essiccazione nello stoccafisso e sotto sale per il baccalà.
Se non fosse stato per un anonimo e pasticcione messer Querini naufragato nel 1432 per sbaglio a Røst, una tra le più sperdute delle isole Lofoten non avremmo mai conosciuto il baccalà. Sbarcato dopo un naufragio in queste isole freddissime nel mese di gennaio conobbe presso la popolazione locale quello che sicuramente era stoccafisso (da stock-fish ossia pesce-bastone). Ripartito in primavera da quel posto sperduto portò in patria alcune casse del nuovo prodotto che dette a sapienti cuochi vicentini i quali videro nello stoccafisso, per comodità e facilità fonetica denominato poi baccalà, un’alternativa più economica e inalterabile al pesce fresco.
Comunque da reperti archeologici risulta che lo stoccafisso veniva esportato dalla Norvegia addirittura prima dei Vichinghi.
Nel 1555 nell’ambito del Concilio di Trento l’arcivescovo di Upsala Olaf Manson scrisse un libretto nel quale parlava di un pesce detto merlusia, del Nord Europa che veniva essiccato e conservato per molti mesi e poteva essere per i fedeli, dato il basso prezzo e l’abbondanza, l’alimento ideale da consumarsi nei giorni di magro prescritti dalla Chiesa.
L’essiccazione all’aria del merluzzo artico, che dà vita allo stoccafisso è uno dei metodi più antichi di conservazione del pesce da noi conosciuti, inventato dagli stessi pescatori norvegesi per conservare il più a lungo possibile gli alimenti in vista dei viaggi in mare e per poter utilizzare come merce di scambio tanto che i mercanti veneziani, validi commercianti, fiutando futuri guadagni iniziarono a dirigere le loro navi verso il nord Europa per iniziare il nuovo commercio.
L’intensificazione poi del commercio del sale nella seconda metà del Seicento, permette a spagnoli e portoghesi di attuare la conservazione sotto sale, per queste fortuite circostanze la Serenissima apprezzò la qualità del prodotto e lo introdusse in cucina con svariate interpretazioni.
Data la sua lunga conservazione anche in condizioni difficili, ai giorni nostri lo stoccafisso è riuscito ad inserirsi nel mercato internazionale.
 

Materia prima e lavorazione


disegno del merluzzo
Per ottenere un buon stoccafisso bisogna innanzitutto usare il merluzzo artico norvegese esattamente il GADUS MORHUA. Questo pesce lascia il suo luogo naturale per andar a deporre le uova alle isole Lofoten, famose in tutto il mondo, luogo climatico ideale per iniziare il processo di essiccazione, che inizia a fine febbraio fino a metà aprile. Dopo questo periodo, la temperatura è troppo alta per ottenere una essiccazione ottimale; mentre in altre regioni della Norvegia continua fino a maggio, dopodiché si passa alla conservazione sotto sale. Il processo di lavorazione inizia appena sbarcati, con il taglio della testa e del ventre che deve essere particolarmente corretto per consentire poi il drenaggio all’interno della spina dorsale; si continua a lavare abbondantemente e accuratamente il merluzzo con acqua di mare. A questo punto l’operatore decide sull’utilizzo del merluzzo e sulle varie fasi di lavorazione. E’ importante sapere che tutto ciò che viene scartato da una prima lavorazione viene poi utilizzato in altri tipi di produzioni, come ad esempio le uova per il caviale, il fegato per il famoso olio medicinale e dal resto degli intestini vengono estratti enzimi, che vengono poi impiegati nell’industria farmaceutica. A questo punto i merluzzi vengono suddivisi per misura, legati per la pinna caudale con un filo di canapa o sintetico, facendo attenzione che pendano tutti nella stessa maniera, in modo che le branchie siano posizionate per evitare la formazione di macchie. Dopodiché i merluzzi vanno nuovamente lavati con acqua di mare e portati nelle rastrelliere. Tutte queste operazioni devono concludersi nella stessa giornata in cui è stato pescato. L’essiccazione dura circa tre mesi a seconda del vento, delle dimensioni del pesce e delle condizioni atmosferiche, quest’ultime inoltre possono influire di anno in anno sulla qualità della produzione.
 

Raccolta e imballaggio


essiccazione dello stoccafisso

Nelle isole Lofoten si comincia la raccolta circa dalla metà di giugno e viene subito selezionato da un addetto esperto chiamato Vrakeren che esegue la classificazione in base alla lunghezza, grandezza, peso e altri parametri qualitativi. Ciò comporta la divisione dello stoccafisso in 20 classi. La qualità migliore dello stoccafisso è la RAGNO, dal nome del suo esportatore norvegese Ragnar. Viene poi pressato in balle di pesi diversi a seconda della destinazione di mercato, legati e imballati in sacchi di juta.
Dal 1986 viene introdotto l’innovativo metodo del sottovuoto per consentire una scadenza più prolungata, ed agevolare così i consumatori. Questo sistema non viene limitato al solo stoccafisso, ma viene allargato anche al merluzzo salato, intero o a filetti, ed alle aringhe norvegesi. Per ottenere un perfetto imballo i prodotti subiscono poi un ulteriore controllo.
Purtroppo negli ultimi anni c’è stato uno sfruttamento indiscriminato delle acque tanto da danneggiare le riserve marine.
Questo ha portato lo stoccafisso a diventare un alimento molto costoso.
 

Cucina


pescatori
La produzione norvegese viene acquistata per 2/3 dall’Italia che si suddivide tra cinque principali regioni: Veneto, Liguria, Campania, Calabria, Sicilia, mentre in altre regioni è poco conosciuto. Nell’Italia del nord-est viene preferito il tipo più sottile mentre nelle altre regioni viene utilizzato il tipo più polposo.
Nel Veneto anche lo stoccafisso viene chiamato baccalà; da questa regione provengono la maggior parte delle ricette, la più conosciuta è sicuramente il baccalà alla vicentina, tanto che il 1° marzo del 1987 si costituisce la Venerabile Confraternita del Baccalà alla Vicentina, con una solenne cerimonia che si tiene nella sala consiliare del Comune di Sandrigo, alla presenza delle autorità locali. Scopo del sodalizio è quello di difendere, conservare, promuovere questo piatto tipico vicentino, e per incoraggiare la cultura gastronomica locale e il turismo ad essa legato, tanto da portare ad un gemellaggio eno-gastronomico Vicenza-Oslo. L’origine di questa famosa ricetta risale addirittura al 1890 dove in una tipica trattoria di Vicenza la proprietaria Siora Vitoria inventò questo piatto che la rese allora popolare anche al di fuori della provincia. Presentiamo alcune ricette di altre regioni:
 

Baccalà alla napoletana


isole Lofoten
Ingredienti: 1 kg di baccalà, 500 gr di pomodori, olio d’oliva extra-v, 150 gr di olive, 30 gr di capperi, prezzemolo tritato, sale, pepe.
Tagliate il baccalà a pezzi già ammollato, infarinatelo e friggetelo. In una padella soffriggete l’aglio, aggiungete i pomodori, le olive snocciolate e i capperi. Far cuocere la salsa per una ventina di minuti, regolarla di sale e pepe e aggiungere il prezzemolo prima di toglierla dal fuoco. Mettere uno strato di sugo in una teglia, adagiatevi i pezzi di baccalà, ricoprire con il resto della salsa e mettete tutto in forno non troppo caldo per circa un quarto d’ora. Al momento di servire, aggiungere altro prezzemolo tritato.
 

Baccalà alla calabrese

  Ingredienti: stoccafisso bagnato, 700 gr patate medie, 6 olive nere snocciolate, 50 gr cipolle, salsa di pomodoro, un cucchiaio basilico tritato, 2 o 3 gambi di prezzemolo, olio d’oliva q.b, sale, pepe o peperoncino (facoltativo). Lessate lo stoccafisso al dente in abbondante acqua, scolatelo, asciugatelo con carta assorbente da cucina, tagliatelo a pezzi, spellatelo ed eliminate le lische. Cuocete a fiamma media, in una grossa casseruola preferibilmente di coccio, le cipolle ed il prezzemolo tritati, mezzo bicchiere d’olio e la salsa di pomodoro. Quando il sugo avrà preso consistenza aggiungete un decilitro d’acqua bollente, il pesce, le patate sbucciate e affettate allo spessore di circa mezzo centimetro e il basilico. Cuocete per 10 minuti aggiungendo le olive, regolate di sale, pepate e cuocete finché le patate saranno morbide.
 

Baccalà alla vicentina

 

 

 

Ingredienti per 12 persone: kg. 1 di stoccafisso secco; g. 500 di cipolle; litri 1 d’olio d’oliva extra vergine; n 3-4 acciughe; 1/2 litro di latte fresco; poca farina bianca; g. 50 di formaggio grana grattugiato; un ciuffo di prezzemolo tritato; sale e pepe. Ammollare lo stoccafisso, già ben battuto, in acqua fredda, cambiandola ogni 4 ore, per 2-3 giorni. Levare parte della pelle, aprire il pesce per il lungo, togliere la lisca e tutte le spine, tagliarlo a pezzi quadrati, possibilmente uguali. Affettare finemente le cipolle; rosolarle in un tegamino con un bicchiere d’olio, aggiungere le acciughe dissalate, diliscate e tagliate a pezzetti; per ultimo, a fuoco spento, unire il prezzemolo tritato. Infarinare i vari pezzi di stoccafisso, irrorarli con il soffritto preparato, poi disporli uno accanto all’ altro, in un tegame di cotto o di alluminio, oppure in una pirofila (sul cui fondo si sarà versata prima, qualche cucchiaiata di soffritto); ricoprire il pesce con il resto del soffritto, aggiungendo anche il latte, il grana grattugiato il sale, il pepe. Unire l’olio, fino a ricoprire tutti i pezzi, livellandoli. Cuocere a fuoco molto dolce per circa 4 ore e mezzo, muovendo ogni tanto il recipiente in senso rotatorio, senza mai mescolare. In termine vicentino, questa fase di cottura si chiama “pipare”. Solamente l’esperienza saprà definire l’esatta cottura dello stoccafisso che, da esemplare ad esemplare, può differire di consistenza. Servire ben caldo con polenta in fetta: il baccalà alla vicentina e’ ottimo anche dopo un riposo di 12-24 ore.