Racconti
di Valter Fontanella

Solo dopo una lunga ispezione, reso ragionevolmente sicuro dal mio più che attento controllo, mi ero cautamente inoltrato sullo stretto passaggio fino a raggiungere il cottage.

 

 

Il bel sentiero, che ero solito percorrere durante le mie passeggiate pomeridiane, a un certo punto correva dapprima per un tratto leggermente incassato tra due alti ciglioni alberati, poi usciva all’aperto, attraversava una breve radura, passava quindi a una certa distanza da un villino, che io, senza per altro avvicinarmi, avevo comunque agio di osservare bene, perché sorgeva su un leggerissimo rialzo che digradava assai lento verso il sentiero.
Dopo averlo visto e ammirato per qualche giorno di seguito, quel villino, piuttosto isolato, costruito sul piccolo rialzo al primissimo limitare del bosco e affacciato su un prato ricoperto di erba verdissima e di innumerevoli fiori variopinti, era divenuto per me l’emblema stesso della serenità, di una vita armoniosa e idilliaca, vissuta a stretto contatto con la natura e del tutto estranea al caotico disordine urbanistico.
Il villino era raggiungibile solo a piedi, percorrendo dapprima il sentiero abbastanza agevole di cui mi servivo per la mia passeggiata, e quindi una stretta traccia appena visibile in mezzo all’erba, e ciò lo metteva al riparo dal movimento anche occasionale delle automobili dei gitanti che fuggivano dal disordinato, lento traffico cittadino o che trovavano momentaneo riposo dal movimento rumoroso e maleodorante di automobili e camion che percorrevano di continuo la non lontana e assai trafficata strada statale.
Un pomeriggio vario di sole e nubi avevo portato con me la macchina fotografica digitale, uno strumento per me assolutamente nuovo, non in quanto macchina fotografica, ovviamente, ma per il sistema con cui funziona, ed ero ansioso di mettere alla prova le sue potenzialità, così a lungo magnificate dal negoziante.
Tutto tranquillo e fischiettando in semitono una dopo l’altra alcune belle canzoni dell’immortale Lucio, me ne ero andato dunque a lungo a spasso, con l’occhio sempre attento a cogliere qualche immagine bella e singolare, da immortalare con la mia macchina digitale, e stavo già tornando a passo un poco più veloce verso casa, quando, percorsa la lunga svolta del sentiero, come al solito mi ero trovato di fronte il villino.
D’impulso, nonostante l’ora fosse ormai piuttosto tarda e la luce mi sembrasse veramente poca, nel cielo si erano intanto addensate le nuvole che mi avevano fatto affrettare il passo, avevo deciso comunque di fermarmi e di scattare a quella delizia le due ultime fotografie che mi restavano, anche per mettere alla prova le possibilità offerte dall’apparecchio in condizioni abbastanza estreme. Tali sembravano infatti al mio giudizio di fotografo dilettante di vecchia data e abituato da sempre a servirsi della pellicola fotografica.
Avevo scattato la prima fotografia a una certa distanza dal villino, inquadrandolo così nel suo elemento naturale, avevo poi scattato la seconda più da vicino e dal lato destro, per cogliere insieme i particolari della facciata e della breve tettoia in legno che ricopriva un’uscita laterale sulla parete destra.
Con la macchina fotografica a tracolla e ormai a riposo, avevo continuato ancora per un poco e a passo svelto la lunga passeggiata quotidiana che il medico mi aveva prescritto come parte assolutamente integrativa della cura con i medicinali. Questa volta però avevo continuato la passeggiata meno volentieri del solito e, nonostante i molti scrupoli e il senso di colpa, dopo qualche centinaio di metri avevo anche deciso di abbreviarla e di dirigermi subito verso casa, percorrendo addirittura una scorciatoia per affrettare i tempi del rientro.
Il fatto era che quel pomeriggio non vedevo l’ora di rientrare per controllare con cura i risultati del mio lavoro di fotografo digitale alle prime armi.
A casa avevo immediatamente scaricato dalla macchina fotografica nel disco rigido del computer le fotografie digitali, eppure soltanto dopo cena, per studiare meglio le capacità di resa della mia macchina, prima ancora di azzardarmi a fare delle copie su carta, avevo cominciato a elaborare le immagini, e soprattutto a ingrandirne i particolari fino al limite della visibilità dell’immagine. E avevo anche cominciato a divertirmi con tutte quelle elaborazioni, vagamente ammirato e insieme affascinato dalle eccezionali possibilità che il mezzo offriva a me e alla mia fantasia.
Di foto in foto ero giunto alle due ultime, quelle che ritraevano il villino, e anche con quelle avevo giocherellato a lungo con l’ingrandimento di alcuni particolari, quando, in mezzo ai bassi cespugli piantati a sinistra del villino, qualcosa nella seconda fotografia aveva attirato la mia attenzione. Era un particolare poco definito, ricoperto come era in gran parte dai cespugli, e molto strano, dato il tempo e il luogo, e che, non so come e perché, mi era sfuggito quando mi ero effettivamente trovato a passare di fronte al villino.
Il particolare sul lato sinistro del villino mi risultava non solo inspiegabile, ma lo trovavo anche piuttosto inquietante, senza una ragione ben determinata però.
Subito mi ero messo all’opera per cercare di capire meglio di cosa si trattava, e però che cosa accadeva? Se, nel tentativo di vedere meglio il particolare, finivo per ingrandirlo troppo, l’immagine si perdeva nei pixel, se non lo ingrandivo a sufficienza, non riuscivo a capire la natura di quel particolare dell’immagine che mi rendeva curioso e inquieto.
Era un dilemma che non ero riuscito a risolvere e che ormai tormentava la mia curiosità, perché immediatamente, non appena lo avevo scorto, mi era sembrato che quel particolare dell’immagine, così evanescente, inspiegabile e tanto poco determinato, ritraesse una caviglia e un piede nudo bianchissimi, esangui, che trasparivano a malapena tra i cespugli.
Altro non si vedeva, perché tutto il resto, se di un corpo steso a terra si trattava, era nascosto dall’angolo del villino.
Eppure in tante volte che ero passato davanti al villino non avevo mai incontrato una sola persona che vi si dirigesse o ne provenisse, e non avevo mai scorto inquilini nel prato antistante oppure affacciati alle finestre, che per altro avevo visto sempre ermeticamente chiuse.
Ma qualcuno, mi ero detto perplesso, doveva pur abitare quel villino apparentemente disabitato. Anche di lontano si vedeva che il villino aveva un aspetto molto curato, e questo mi impediva di pensare che fosse abbandonato a se stesso e alle intemperie.
Me ne ero andato a letto a tarda ora e pensando che mi rimaneva un’unica soluzione per risolvere ogni mio dubbio: andare a vedere con i miei occhi cosa c’era dietro quell’angolo sinistro. E lo avevo anche fatto.
Il mattino dopo di buon’ora avevo percorso rapidamente il sentiero che portava verso il villino. In un posto un poco defilato e a una certa distanza dal villino, avevo sostato a lungo, per controllare con cura che in casa non ci fosse nessun movimento.
Solo dopo una lunga ispezione, reso ragionevolmente sicuro dal mio più che attento controllo, mi ero cautamente inoltrato sullo stretto passaggio fino a raggiungere il cottage, ma al di là dei cespugli, dietro l’angolo del villino, ammesso che il giorno prima ci fosse stato qualcosa, non c’era assolutamente più nulla. Non avevo trovato la minima traccia che ci fosse stato quello che mi era sembrato di vedere nella fotografia.
Non c’era più nulla, in quel momento almeno, mi ero detto, ma ormai era trascorso tempo più che sufficiente, perché qualcuno potesse aver cancellato ogni traccia, avevo concluso.
A quel punto, reso più audace dal profondo silenzio e dalla solitudine del luogo, mi ero azzardato anche a fare il giro completo del villino, e così avevo scoperto che nel retro della casa si estendeva un ampio giardino ricco di fiori, al cui centro si trovava una non piccola e graziosa vasca ornata da una deliziosa colonna scolpita a guisa di stelo e corolla di fiore da cui doveva defluire l’acqua nella vasca sottostante, una fontana, dunque, ora silenziosa. Eppure l’immagine fotografica era incontrovertibile, avevo pensato ritornando a passo lento verso casa, non lasciava adito a dubbi di sorta, pur nella sua difficoltà di interpretazione.
Quando avevo scattato quella seconda fotografia, là c’era qualcosa, e io avevo intenzione di continuare a indagare, alle ore più diverse, magari appostandomi a poca distanza da quel misterioso villino, per controllare meglio se qualcuno ci andava o ne veniva, se c’erano movimenti sospetti, se dietro quelle finestre costantemente chiuse c’erano tracce, per quanto esigue, di vita, se qualcosa di strano poteva accadere tra quelle pareti.
Con cautela, a un amico di lunga data che viveva da sempre in paese avevo chiesto notizie su chi abitava in quel bel villino isolato e tranquillo, o chi ne era il proprietario, dando volutamente l’impressione che, alla ricerca di pace e solitudine, potessi in qualche modo essere interessato al suo acquisto.
“Quale villino? Non parlerai, spero, del villino isolato che è stato costruito tre anni fa su alle Rotte?” Aveva chiesto dubbioso il mio amico, e, senza aspettare la mia risposta, aveva proseguito. “Guarda che ti sconsiglio vivamente di pensarci, perché quel posto è franoso e un giorno o l’altro la montagna se lo mangia quel villino e lo porta giù.”
“No, no, non parlo di quello. Parlo di un altro villino, di quello che è vicino al bosco della Pertegada.”
“Ah, quel villino. Quello è di un tipo strano. Non so come si chiama, ma, se ti interessa, possiamo chiedere al Luigino della panetteria, che conosce tutto e tutti. E’ uno che viene qui ogni tanto e alle ore più strane e nei periodi più strani dell’anno, certamente al di fuori del periodo di massimo afflusso dei turisti. Di solito è accompagnato da una combriccola di individui più strani ancora di lui. Fa conto, per capirci, quei tipi con i capelli e la barba lunghi, da santoni, oppure con la testa completamente rasata. Una volta li ho visti gironzolare anche qui, in paese. Uno di loro ha proprio attirato la mia attenzione. Pensa che portava al collo una lunga collana con un pendente molto strano. Fa conto che fosse un grosso crocifisso, ma capovolto.”
Io avevo lasciato cadere subito l’argomento e, per sviarne l’attenzione, ero passato a parlare con il mio amico del tempo così imprevedibile, mai visto prima, dell’estate. Tutte quelle notizie però avevano accresciuto enormemente la mia curiosità nei confronti del villino e dei suoi strani e anonimi occupanti, e avevo cominciato a gironzolare ancora più spesso con fare ozioso e noncurante dalle parti del villino.
E così, dopo giorni di appostamenti e passeggiate lentissime, la mia perseveranza era stata premiata, perché una buona volta mi era sembrato di cogliere un baluginio dietro i vetri di una finestra, quasi ci fosse stato qualcuno che guardava da quella finestra con un paio di binocoli, ma avevo anche avuto l’impressione sgradevole e inquietante che stesse proprio guardando verso la mia parte, che controllasse il mio lento andare.
Un’altra volta, in uno dei miei tardi giri di inquisizione serale, aiutato dalla scarsa luce dell’imbrunire, mi era sembrato per un breve momento di veder filtrare dalle tende chiuse di una finestra una sottile lama di luce, un debole chiarore oscillante e misterioso, come se una candela dal fioco lume venisse portata da una stanza a un’altra.
Un’altra volta ancora, con il sole ben alto, durante l’abituale, lenta e, per chi mi avesse osservato, oziosa passeggiata pomeridiana di controllo, mi ero proprio convinto di aver udito provenire dal villino un basso salmodiare, lento e ossessivamente ripetuto, ma il frusciare del vento tra gli alberi aveva impedito che fossi del tutto certo di aver udito bene.
Intanto la mia fantasia, acuita dai tanti giorni di indagini, dai tanti fatti inconsueti che mi pareva di aver udito o visto, dalle notizie singolari che il mio amico mi aveva fornito, si era messa a immaginare tutto un mondo inquietante, oscuro e pericoloso celato dalle pareti del villino. Un mondo tenebroso, pronto a scatenarsi con subdola, perfida e improvvisa violenza, perfino nei miei confronti, se non avessi dissolto al più presto i misteri che avviluppavano quel villino, per difendermene con cura.
Già pensavo di rivolgermi alla locale stazione dei carabinieri. Il maresciallo Lorenzon era un mio ottimo amico, e di sicuro avrebbe ascoltato con pazienza e senza prendermi in giro i miei ragionamenti e le mie deduzioni.
Il fatto era che un poco alla volta avevo cominciato a immaginare dietro quei muri la celebrazione di messe nere con contorno di rituali demoniaci, di assunzione di pozioni allucinatorie, di sacrifici cruenti e smembramenti dei sacrificati, di orrendi banchetti rituali con parti elette delle vittime e seppellimento dei pezzi residui dei cadaveri in recessi consacrati alle tenebre nel profondo del bosco che stava dietro la casa. Già vedevo con la mente i riti notturni di iniziazione dei nuovi affiliati, le pratiche umilianti e orribili cui venivano sottoposti gli iniziandi ai misteri più profondi della setta satanica.
Un giorno, finalmente, i miei sospetti sembrano trovare conferma.
Mentre da una certa distanza sorveglio una volta ancora il villino, sono sicuro di cogliere con gli occhi un movimento sospetto, di scorgere per un attimo una persona che sparisce lesta sul retro della casa.
Subito messo in allarme dall’inaspettata novità, prendo la decisione di investigare la faccenda da molto più vicino, ma senza correre il minimo rischio.
Passando per il bosco, che mi ostacola non poco nel movimento, ma che mi protegge e mi cela agli occhi altrui, e cercando di non fare il più piccolo rumore, nonostante incespichi sulle radici sporgenti degli alberi e scivoli sugli strati più abbondanti di foglie umide, comincio ad accostarmi di soppiatto e con un largo giro al villino.
Avanzo dunque con molta cautela e mi fermo assai spesso, con gli occhi ben spalancati e le orecchie ben tese per cogliere il più piccolo segno di pericolo incombente.
Con molta lentezza e pieno di apprensione raggiungo finalmente l’estremo margine del bosco. Qui mi fermo esitante e, nascosto nel fitto sottobosco, decido di rimanere in attesa che accada qualcosa.
Prima di correre a chiamare i carabinieri, voglio essere sicuro del fatto mio. Voglio vedere chi si aggira con fare sospetto fuori del villino e capire bene quello che sta combinando.
Mi accuccio e aguzzo lo sguardo per indagare con la massima attenzione il perimetro del villino, e allora sussulto, incredulo che possa accadere di nuovo.
Stranamente, però, sono anche appagato, perché tutti i miei peggiori dubbi sul misterioso proprietario del villino e sui suoi strani ospiti, i suoi accoliti, senza alcun dubbio, hanno trovato la più totale, immediata e angosciosa conferma.
Ancora una volta vedo sporgere da un angolo del villino una caviglia e un piede. Sono assolutamente certo di non sbagliarmi: quello è un piede umano.
E’ il resto di un sacrificio umano, mi urla il cervello, mentre il cuore si mette a battere all’impazzata, come se fosse in preda a una tachicardia parossistica.
E quello che devo aver scorto prima è di sicuro uno di quei maledetti, orripilanti, abominevoli satanisti.
In un primo momento, raggelato dall’orrore e attanagliato dalla paura, resto immobile, incapace di fare un solo movimento.
Poi vinco l’orrore e supero anche la paura di essere scoperto e sacrificato a mia volta. Ciò che indubbiamente mi accadrebbe, se per un disgraziato accidente venissi scorto e catturato.
Sto già per rialzarmi e sgattaiolare via, per raggiungere difilato la stazione dei carabinieri, quando dall’angolo vedo sopraggiungere due muratori che, nell’ampio giardino posteriore, cominciano subito ad affaccendarsi intorno alla fontana ancora asciutta, ormai pronti per collocare sull’ampia corolla che sta al centro della leggiadra colonna scolpita a fiore una gentile statua in marmo, che era ancora stesa a terra dietro l’angolo del villino e che raffigura, a grandezza naturale, una fanciulla nuda in atteggiamento pudico, e dalle belle e lunghe gambe bianchissime.
Vergognandomi non poco della mia maleducata e invadente curiosità, mi acquatto per non farmi assolutamente scorgere dai due muratori e mi allontano dal villino, cercando di non fare il minimo rumore.
E oggi come mi comporto? Giro subito alla larga dai villini isolati, per quanto possano essere belli e attraenti, e anche dalle idee che possono suggerire, ma, soprattutto, evito di fotografarli.