Racconti




Sono ormai molti anni che noi ragazze del giornale di questa scuola impaginiamo gli articoli che ci pervengono in redazione. Questa volta abbiamo voluto, modestia a parte, impaginare anche dei racconti nostri, frutto della nostra fantasia e delle nostre esperienze.

Toc Toc…

Ehi!!! Che cosa succede? Cos’è questo subbuglio?......sono io!! C’è tutto un fantastico movimento intorno a me, le mie cellule si moltiplicano a vista d’occhio e sto crescendo, mi sto formando, cosa sarà di me? Ora sono stanco e cerco di riposarmi un po’.
Forse ho dormito un po’ troppo ed ora mi accorgo che ho un cuoricino che palpita molto velocemente e mi sembra un tamburo. Ho una panciona, mi secca proprio e vorrei mettermi il pollice in bocca e succhiarlo per consolarmi ma la mia manina è piccola e non arriva alla mia boccuccia. Mi guardo intorno e vedo che ho molto spazio, sono immerso in una specie di liquido che mi protegge e mi permette di fare delle nuotate bellissime, senza nessun ostacolo. Sono solo, ma sto bene ugualmente, fuori deve esserci molta gente che mi ama, lo sento e ciò mi rende molto felice al punto che vorrei comunicare con loro e a modo mio provo a far sentire la mia gioia. L’unico modo è agitarmi cosicché mi possono sentire. Ecco!! È avvenuto perché ad un mio calcione ha risposto un colpetto, una specie di carezza: chi sarà? Sento la sua voce, il suo amore e non deve essere la sola persona che comunica con me.
Sono proprio fortunato, mi aspettano con ansia, mi vogliono conoscere e mi portano da un mago che ha una macchina magica che vede attraverso occhi magici. Io sto facendo le mie capriole, mi sto proprio divertendo e sento che chi è fuori gioisce a vedere queste mie evoluzioni. Provo pure una mossa di “salsa” e loro mi scattano una foto! Comincio ad essere carino col mio nasino a patatina, gli occhi grandi , due belle gambette da atleta e le braccine robuste. Mi diverto molto qui dentro faccio le bolle con questo liquido miracoloso, faccio pure la pipì e popò dove e quando voglio e non secca a nessuno. Chissà quanto durerà questa vita di Bengodi.
Sembrava che me lo sentissi…… io sono cresciuto e lo spazio mi sta diventando stretto, i miei calcioni sono diventati più frequenti; non per cattiveria ma appena mi muovo…. ma tanto so che fuori mi amano lo stesso.

AIUTO!! Cosa mi capita? Devo abbandonare questo bellissimo pallone che mi ha fatto da casetta e mi ha protetto fino adesso? Forse è proprio giunto il momento di farmi vedere e conoscere un poco meglio, ed anch’io, finalmente, conoscerò tutti quelli che mi hanno atteso con gioia ed amore. Come si chiameranno? Credo mamma, papà, nonni, zii, cugini, amici ecc. ecc. Comunque, io so che mi chiameranno Daniele.

Gabriella Tacchia

 

 





 

Monologo... “Quando la paura fa novanta”

Mi sto chiedendo in che brutto mondo viviamo, neppure nella propria casa si è più al sicuro.
Vengo svegliata nel pieno della notte da un lieve cigolio, le assi del parquet scricchiolano. Qualcuno è entrato e cammina furtivamente al buio nella mia camera da letto.
D’acchito la mia mente non connette più, è paralizzata. Sto ferma immobile con gli occhi spalancati.
Panico, terrore; penso: “Un ladro, c’e un ladro nella mia stanza”. Tutti i muscoli del corpo sono contratti, mille pensieri si sovrappongono velocemente nella mente.
Cosa, cosa fare? Sì, certo, sto ferma e faccio finta di dormire… grido? No, è più saggio tacere. Accendo la luce? No, forse è meglio di nò. Il cuore mi pulsa paurosamente, sembra voglia uscire dalla cassa toracica. Forse è meglio svegliare mio marito che dorme ignaro accanto a me. Si ma come? Gli dò un pizzicotto? No, non lo sentirebbe, meglio una pedatina, ma! Questo non si sveglia neanche con una cannonata. Una volta avevo sognato che c’era un ladro in casa, gli ho mollato un sinistro in un occhio. Sì sì, si era svegliato. Però ora non posso farlo, il ladro si accorgerebbe che sono sveglia, ma come, come svegliarlo! Ahi sì, ho trovato, con la forza del pensiero. Ti prego uomo, è urgente, svegliati, abbiamo un ladro in casa.” Si muove… si sta strofinando la barba, meno male si è svegliato... no... si è voltato dall’altra parte”. Un rumore, il ladro si e messo al lavoro sta aprendo un cassetto del comò.
“Tanto ladruncolo rimarrai deluso, soldi non ne abbiamo, sei anche un po’ tonto, appoggiato al piano del comò, dietro quelle vecchie bambole c’è un cofanetto, oro c’è n’è poco, è quasi tutta bigiotteria, ma qualche soldino lo ricavi.”
“Ma anche tu Graziella, sei un po’stupida, se quel poco d’oro lo indossavi a quest’ora sarebbe in salvo”. Un cigolio. Apre un altro cassetto. “Ma cosa fai? Non trovi niente”.
I miei occhi si sono abituati all’oscurità della stanza, mi infondo coraggio e guardo in direzione del comò. Mio dio che spavento! E’ un omone grande e grosso questo ladro, sarà alto almeno un metro e ottanta, forse uno e novanta.
Qualcosa luccica sopra il comò. Misericordia! Sì sì, è proprio una pistola.Terrorizzata, chiudo gli occhi. Se questo si accorge che sono sveglia ci ammazza, di certo sarà una persona senza scrupoli.
Nella mente istantanee scorrono le effigie di morte. Il sangue rosso sulle lenzuola bianche cola a rivoli copioso scendendo giù dal letto a formare una pozzanghera sul pavimento di legno.
Il colpo di pistola sveglierebbe i ragazzi che dormono ignari nella loro camera. Rimarrebbero sconvolti, scioccati a quella vista, i genitori agonizzanti, assassinati per poche misere lire. Poveri cari innocenti figli miei, quale destino avverso vi attende!
Il ladro continua a rovistare nel cassetto. Oddio... ci sono le forbici da barba di mio marito, le custodisce gelosamente nel suo cassetto. Anche quello poi! E’ fissato, se le nasconde. Afferma che taglio il ferro con le sue forbici… Pura verità. Sento che il furfante si sta avvicinando al letto... affanno angoscia... il suo respiro è su di me, appoggia la sua mano fredda sulla mia spalla nuda.....Adesso adesso mi colpisce in pieno petto con la forbice. Un miscuglio di terrore, paura mi attanaglia, mi sento soffocare. “No, ti prego, non mi sento ancora pronta per morire, pietà voglio vivere. Almeno a te mio caro marito è risparmiata questa atroce sofferenza, passerai dal mondo dei vivi alla pace eterna dei morti, senza accorgertene”.
“Dio Graziella, asina che non sei altro, quanto tempo è che non ti confessi?!...Prega, raccomanda la tua anima peccatrice al Padreterno, ora che la morte ti è vicina, pentiti donna, le tue carni arderanno nel fuoco eterno dell’inferno, chiedi perdono”. Atto di dolore mio Dio mi pento e mi dolgo di tutti i miei peccati…
Una mano fredda sulla mia spalla nuda.
- Mamma ... mamma ... accidenti, ma dove cavolo metti i fazzoletti?! ..-

Graziella Naccari

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sogno o realtà?

I primi raggi del sole mattutino filtrano, dalle persiane ancora chiuse, nella camera, illuminando a piccole strisce i mobili. Nel letto una giovane dorme ancora e quando una freccia di luce le si posa sugli occhi, si porta una mano al viso come per scacciarla e ritardare così il risveglio. Ormai l’incantesimo è rotto. Isadora si gira, apre gli occhi, osserva la sua camera, le sembra estranea e si sente frastornata senza capirne il motivo. Improvvisamente un pensiero la folgora, un nome le sale alle labbra: Morgan.
Ora ricorda! Ha fatto un sogno e che sogno! Non le era mai capitato di farne uno così strano e bello. Si rigira ancora un po’ nel letto, crogiolandosi nel ricordo ancora così vivido e si sente quasi in colpa per il piacere provato nel sogno che ancora la illanguidisce.
Isadora è una ragazza trentenne, né bella né brutta, quella di cui si direbbe “ragazza carina”.
Vive da sola in un mini appartamento, le sembrava giunto il tempo di tagliare il famoso cordone ombelicale con la madre e quindi, pur mantenendosi in contatto giornaliero con i suoi, vive la sua vita da single aspettando di incontrare l’anima gemella o come le piace pensare romanticamente, il principe azzurro. La sera prima era rientrata a casa stanca e quando alla fine era andata a letto, il sonno tardava ad arrivare. Un motivo c’era! Pensava a Morgan, giovane, bello e sconosciuto. Erano trascorsi alcuni giorni dalla mattina in cui l’uomo era entrato nell’agenzia immobiliare in cui lei lavora. Si era fermato alla sua scrivania per chiedere alcune informazioni su lotti di terreno in vendita. Isadora gli aveva risposto esaurientemente, ma aveva capito che il giovane non aveva molta intenzione di comprare. Infatti era uscito senza concludere l’affare. Isadora non capiva perché le fosse rimasto in mente come un’ossessione al punto di sperare che tornasse in agenzia con le idee più chiare, iniziare le trattative per l’acquisto e lasciare così le proprie generalità e recapito. Le era sembrato un tipo mediorientale, benché parlasse un italiano perfetto. La sua figura asciutta, i capelli neri come pure gli occhi e la carnagione scura, le avevano fatto pensare ad un pirata e quale nome più appropriato dargli se non Morgan?
All’agenzia non era più tornato, però lo vedeva tutti i giorni quando usciva dal lavoro; si incrociavano casualmente, lui la guardava, le faceva un timido cenno del capo e proseguiva per la sua strada. Anche di questo comportamento, Isadora era stupita. Erano entrambi maggiorenni e cosa gli impediva allora di presentarsi e attaccar discorso? Lei non voleva fare il primo passo, vuoi per l’educazione che aveva ricevuta, vuoi per la paura di immaginarsi cose inesistenti. Fatto sta che da allora Isadora non faceva altro che pensare a Morgan, complice l’alone di mistero che lo circondava. Anche la sera prima, stesa nel suo letto lo pensava, finchè aveva visto un’ombra grigia in corrispondenza delle ante dell’armadio. Più la guardava, più le sembrava che si ingrandisse. Si era alzata e senza paura per questo strano fenomeno, vi si era avvicinata. L’ombra, sempre più grande, aveva preso la forma di un tunnel e Isadora ci si era infilata senza difficoltà. A piedi nudi e in camicia da notte camminava nel…nulla, fin quando un alone chiaro non le si parò davanti. Si era ritrovata infine in piena luce, il sole quasi allo zenit risplendeva in un cielo azzurro come mai si vede in una grande città. I suoi piedi affondavano nella calda sabbia e guardandosi intorno non vedeva che sconfinate e ondulate dune: era nel deserto. Isadora stranamente non era stupita e riparandosi gli occhi con la mano, aveva visto alla sua destra un punto scuro e vi si era diretta senza esitazione. In pochi minuti di faticosa camminata, già intravedeva un’oasi di verde e in breve riuscì a scorgere le palme che racchiudevano una pozza d’acqua che riluceva alla luce del sole. Sotto gli alberi un dromedario si era seduto sulle zampe posteriori per far scendere il suo cavaliere e Isadora seppe all’istante che si trattava di Morgan. Le venne incontro con lunghe falcate, quando furono vicini restarono fermi a guardarsi negli occhi, finchè lui allargò le braccia nelle quali lei si rifugiò. Le parve di aver sempre aspettato questo momento e non avrebbe mai voluto staccarsi da lui. Sentiva il suo profumo, la camicia le strusciava la guancia facendole il solletico. Dopo un attimo, che a lei parve un’eternità, Morgan delicatamente l’allontanò quel tanto che bastava per guardarla e le loro bocche si cercarono per unirsi in un lungo e struggente bacio. Di nuovo il giovane l’allontanò, la prese per mano e la condusse all’ombra delle palme. In silenzio estrasse dalla sacca che portava a tracolla un foulard di seta, lo distese sulla sabbia, vi si sedette e trascinò dolcemente anche Isadora. Non si erano scambiati neanche una parola. Non ce n’era bisogno, tra loro era scoccata una scintilla che subito si era trasformata in fuoco ardente. Si abbracciarono e accarezzarono con frenesia. Isadora aveva dimenticato ogni sorta di ragionamento razionale e si lasciò trascinare in un vortice di passione. Il sole iniziò il suo declino verso le dune e le prime stelle della sera illuminarono i loro corpi addormentati.
Isadora, ora perfettamente sveglia, sa che si è trattato di un sogno, il pensiero di lui, prima di addormentarsi, doveva aver scatenato le sue fantasie più nascoste. Purtroppo i sogni, anche quelli più belli, con il sole svaniscono. Questo però lo avrebbe ricordato per sempre e chissà, forse avrebbe potuto tramutarsi in realtà.
Isadora adesso deve distogliersi da questi pensieri e concentrarsi sui problemi reali: riordinare la casa e prepararsi per andare in ufficio. Si alza, apre le persiane lasciando che il sole entri nella stanza senza più barriere. Sprimaccia il cuscino e lo appoggia sul davanzale della finestra, toglie le coperte dal letto e tra le pieghe del lenzuolo vede strane tracce dorate. Si protende per controllarne l’origine, allunga la mano e raccoglie ciò che vede. Lo tiene stretto in pugno, sembra scottarle la mano, mentre il suo cuore accelera i battiti. Lentamente , con gli occhi colmi di stupore, lascia che tra le dita le scivolino fini granelli di sabbia. Sabbia rossa del deserto.

Graziella Mazzoni

 

 

 

 

 

È successo una volta”

D’estate, quando i figli erano ancora piccoli, andavamo in vacanza con tutta la famiglia in Abruzzo dai nonni. Un giorno, mio figlio Marco aveva circa tre anni, disobbediente e testardo com’è, mi fece perdere le staffe, ed io lo sculacciai per bene. Nonno Camillo, che stava lì vicino, si rabbuiò nel vedere la spiacevole scena ma non disse nulla, perché si sa, i nonni, sono sempre disposti a sorvolare sulle marachelle dei nipotini.
A tavola poi, si presenta l’occasione che aspetto per introdurre il discorso su picchiare o meno i piccoli quando se lo meritano. Camillo, volendo giustificare il suo atteggiamento seccato, per il fatto che io avevo sculacciato Marco, disse che una sola volta anche lui ha picchiato i suoi figli ma che avrebbe voluto poter cancellare l’accaduto. Allora, presa dalla curiosità, ho voluto farmi raccontare come era avvenuto il fattaccio.
Luigi suo figlio maggiore, nonché mio marito, curioso come tutti i bimbi, ne combina una delle sue. Un giorno in paese stanno eseguendo dei lavori; prosciugano una cisterna d’acqua per pulirla e poi rimettere l’acqua e servirsene quando in paese scarseggia. Si vedono dei pesci che sono stati immessi apposta a suo tempo per tenere pulita l’acqua da eventuali batteri, i pesciolini affiorano man mano che l’acqua scende; non è una cosa di tutti i giorni ed è simpatica da vedere. Luigi guarda affascinato.
Il padre invece sta terminando di costruire una gabbia per rinchiudere i conigli, ed è un lavoro che deve ultimare prima di sera, perciò non ha tempo di andare in campagna a far rientrare le pecore all’ovile, deve andare per forza Luigi, il quale sa che bisogna svolgere questa incombenza ma continua a osservare affascinato l’acqua . Comincia l’imbrunire e la cosa considerevole è che le pecore non si trovano lì in paese ma bisogna percorrere un bel tratto di campagna a piedi. Lo chiama “Mo vengo” risponde Luigi, ma non si muove; “Mo vengo” ripete al richiamo, ma non si muove come avesse i piombi ai piedi. Il padre allora perde la pazienza e lo va a prendere, in preda all’ira gli appioppa un calcio al sedere che lo fa proprio correre.
Per la par condicio racconta poi quanto è capitato al figlio minore Mario. Il bambino sta litigando con un compagno, il diverbio va per le lunghe, il padre lo chiama e richiama gridandogli di smettere ma il figlio imperterrito prosegue, Camillo gli molla una sberla che lo fa camminare dieci metri. Questo ci racconta un giorno Camillo mentre siamo a tavola, aggiungendo che avrebbe potuto punire i suoi figli diversamente invece di usare la forza, purtroppo dice che un tempo i figli si educavano così. Il nonno vedendomi sculacciare il suo primo nipote si era rattristato e raccontandoci gli episodi spera di averci trasmesso il suo modo di pensare: si può educare senza picchiare!

Speranza Visentin