La pagina di Rosetta
di Luciano Niero

Nel laboratorio di filosofia continuano le letture
del libro: La repubblica
di Platone, che hanno
suscitato questo
dialogo immaginario
di Luciano.

 

 



Socrate

Note:
Adimanto, Glaucone, Trasimaco sono discepoli di Socrate.
Anito, Meleto, Licone sono gli accusatori di Socrate di empietà.
Santippe è la moglie di Socrate.

S. - Sostiamo ora un poco.
Abbiamo sin qui considerato il pensiero di alcuni maestri sull’Arché il “principio di tutte le cose” che vi riassumo brevemente: per Talete di Mileto fu l’acqua, per Anassimandro l’àpeiron, l’illimitato, per Anassimene l’aria.
Ma ora mi interessa di più conoscere anche la vostra opinione; Adimanto, mio attento amico, che ne pensi sul principio di tutte le cose o sugli dei che le generano?

A. - Ci proverò anche se sarà difficile.
Io penso che gli dei che hanno generato tutte le cose finite debbano essere infinitamente superiori ad esse e debbano essere perciò onnipotenti ed immortali e anche senza un inizio e una fine, come l’àpeiron di Anassimandro, e ci sia anche un “Uno” a loro superiore come dicono altri maestri.

S. - Sì hai detto bene senza inizio e fine, e l’Uno deve essere anche “senza forma” e non potrai definirlo di qualsivoglia qualità sia essa di bellezza, di intelligenza o altro, perché ognuna di esse gli darebbe una forma, un limite.

A. - Deve essere proprio così: dell’Uno si può dire solo quello che non è.

S. - I nostri antichi sapienti descrivono l’universo composto da innumerabili astri, dalle sfere celesti, il sole, le stelle e i pianeti e vedono in loro delle divinità.
Orbene tutti questi, siano essi grandiosi come la terra o piccolissimi come l’indivisibile atomo di Democrito, tutti hanno una forma e dei movimenti e quindi un limite finito e il loro insieme costituisce un “Tutto”.
Ora considera questo Tutto, esso occupa una posizione finita nello spazio il quale è vuoto e senza interruzione, e non ha un centro, un sopra, un sotto, e nella sua unicità è disponibile a contenere ogni cosa ed è un Nulla senza termine perché se lo avesse non sarebbe tale, e qualsiasi sia la forma e la dimensione del Tutto questo è sempre poca cosa rispetto al Nulla che lo contiene.
Di questo Nulla assoluto dobbiamo obbligatoriamente affermare che esso É e non può non essere, sei d’accordo?

A. - Non posso che convenire con quanto dici, se ben ricordo, sempre Parmenide, affermava che l’essere É e non può non essere e probabilmente egli voleva significare quello che tu hai detto cioè che il Nulla É.
Pare a me che esso sia molto simile all’Uno, al “senza forma” e che possa essere lui “il dio”.

S. - Per Zeus! Il sole è già verso il Pireo, riprenderemo domani questa ardua discussione, ora rientriamo che la brava Santippe avrà pronte le lenticchie e un buon bicchiere con i quali colmeremo il nulla nel nostro stomaco.
Glaucone Trasimaco venite anche voi?

Il mattino seguente.

S. - Riprendiamo la nostra riflessione sul Nulla assoluto che Adimanto pensa essere “il dio”.
Abbiamo detto anche che esso è disponibile a contenere il Tutto e quindi sembra dotato di amore, attenzione però, se proseguiamo a definirlo ulteriormente, entriamo in contraddizione con quanto inizialmente affermato, ovvero la mancanza di qualsiasi qualità.

A. - Mio chiarissimo Socrate a questo punto non ci capisco più niente. “Il dio” è il senza forma ed è senza qualità perciò questo Nulla è anche senza volontà, ma in assenza di una Volontà non può essere possibile la generazione del “principio di tutte le cose”.
Temo a questo punto di dover concludere che il Nulla non può essere “il dio” che opinavo e che, a maggior ragione, non lo sono tutti gli dei della teogonia di Esiodo e del nostro Stato. Socrate aiutami!

S. - Dobbiamo prendere atto di quanto hai detto. Per non lasciare insoluti i nostri ragionamenti e inquieto il nostro animo, si può solo dire che il Tutto E’ e il Nulla che lo contiene, anch’esso E’, e che gli dei del nostro Stato non sono che il frutto della fantasia umana, utili solamente per spiegare ai bambini i misteri della vita e della natura.

A. - E’ interessante quanto ci hai detto, mi sorge però una nuova preoccupazione. Quando Anito e i suoi focosi amici Meleto e Licone sentiranno queste affermazioni, e soprattutto che i loro dei non esistono, si irriteranno.

S. - Questo sarà un loro problema e non mi riguarda.

A. - Lo spero vivamente… senza dubbio si irriteranno, perché il credere all’esistenza degli dei, vincola il popolo al rispetto delle leggi.

S. – Cari amici, siete qui con me costretti da qualcuno o per qualche vostra aspirazione?

A. – Certamente per il desiderio della conoscenza che, come insegni, è soprattutto quella di se stessi e delle virtù.

S. – Orbene, vi chiedo, l’uomo deve tendere alla virtù per paura delle punizioni degli dei o …

A. – Sicuramente no!

S. – E una delle virtù è il non violare le leggi dello stato come è l’onorare le regole dell’ospitalità altrui.

A. – Certo, ho inteso. E’ per la Virtù che dobbiamo rispettare le leggi e non per l’esistenza o meno degli dei.

S. – Si, è così, la Virtù non deve avere un fine egoistico ma va perseguita per se stessa.