Storia dei Dogi
Continua l’avventura...
a cura di Gabriella Tacchia

Continua, tralasciando alcuni che non fecero storia, la ricerca di coloro che governarono la Serenissima: i Dogi.


La Scala dei Giganti.
Immagine estratta dal sito: www.cronologia.leonardo.it/
sereniss/ biodog00.htm


Galla Lupanio


Domenico Monegario


Maurizio Galbaio


Giovanni Galbaio


Angelo Participazio


Giustiniano Participazio

 

Galla Lupanio (data nascita sconosciuta – data morte sconosciuta) è stato il quinto Doge della Repubblica di Venezia.
Era un fedelissimo del suo predecessore Teodato, che tradì all’avvento dei Franchi. Eletto al posto del suo amico e vittima, tenne il dogado finché i Longobardi di Desiderio non riconquistarono le terre prese loro dai Franchi. Un anno dopo il suo tradimento Galla subì a sua volta la medesima sorte cui aveva condannato l’amico: venne accecato, rapato a zero e scacciato.

Domenico Monegario (data nascita sconosciuta – data morte sconosciuta) è stato il sesto Doge della Repubblica di Venezia. Originario di Malamocco, venne eletto con l’appoggio dei Longobardi di Desiderio. In questi anni avviene la trasformazione dei venetici da pescatori in commercianti marittimi, osando audaci viaggi per mare dallo Ionio ai mari del Levante.La loro arte nautica era migliorata moltissimo e ora si studiano nuove chiglie e nuove forme per gli scafi, per le vele, per i remi, per avere navi più robuste, capienti e veloci. Per conseguenza della nuova attività arriva anche la ricchezza, e di conserva l’invidia dei popoli confinanti. L’equilibrio politico si fa sempre più difficile da mantenere . Papa Paolo I allunga le sue mire anche su Venezia, da cui esige donazioni, fa pressione sui Franchi e sui Longobardi, il Doge come sempre ne fa le spese viene deposto, accecato, rapato a zero e scacciato.

Maurizio Galbaio (data nascita sconosciuta – 787) è stato il settimo Doge della Repubblica di Venezia.
Proveniva da una famiglia di umili contadini di Eraclea, città che in quel periodo era soprattutto a favore di Bisanzio mentre l’insediamento di Malamocco tendeva ad appoggiare i Franchi: è probabile che Maurizio contasse sull’appoggio di Bisanzio per resistere alle mire papali, tramontata ormai l’influenza dei Longobardi in Italia. Ottenne infatti dall’Imperatore d’Oriente la doppia nomina di magister militum e di Ipato, cosa che provocò la rappresaglia di Desiderio: questi, sconfessato l’impegno assunto con i Franchi di difensore della Chiesa, attacca i territori della chiesa di Roma e l’Istria cercando di ricostituire un Regno d’Italia. Fa prigioniero il figlio del Doge , Giovanni, e lo tiene come ostaggio; sia il Papa che il Doge mandano ambasciatori a Carlomagno affinché torni e ristabilisca lo status quo, restituendo al Doge suo figlio.
Dopo aver sconfitto i Longobardi, però, Carlomagno non restituisce le terre alla Chiesa ma le rivendica per sé, e si rivela per Venezia un vicino ancora più invadente di Desiderio. I timori di Maurizio riguardo ai Franchi sono confermati, e stringe legami sempre più stretti con Bisanzio, mentre con l’assenso dell’Imperatore associa al dogado il figlio Giovanni come co-reggente. Intanto Carlomagno progetta la costituzione del Sacro Romano Impero, e nelle sue contese con il Papa i venetici vengono sempre più danneggiati: nel 785 tutti i mercanti venetici vengono espulsi dalla Pentapoli con l’accusa (vera, ma di comodo) di commerciare schiavi ed eunuchi, e i loro beni confiscati. La politica filobizantina di Maurizio non serve a contrastare queste angherie e il suo prestigio ne risente pesantemente: tuttavia riesce ad evitare la triste sorte dei suoi predecessori e muore di morte naturale, tramandando il dogado a suo figlio Giovanni.

Giovanni Galbaio (data nascita sconosciuta – data morte sconosciuta) è stato l’ottavo Doge della Repubblica di Venezia.
Non venne eletto come uso per i dogi, ma ereditò la carica dal padre, essendo già co-reggente al momento della morte di questi. La sua ossessione fu la vendetta contro il Patriarca di Grado, responsabile della cacciata dalla Pentapoli dei mercanti venetici che in pratica li aveva estromessi dal commercio dell’alto Adriatico. Dovette anche tenere a bada le pretese dei Franchi, che avendo già l’Istria erano intenzionati ad annettersi anche gli insediamenti lagunari dei venetici. Per giunta, da Bisanzio non vennero aiuti di sorta, essendo l’Imperatrice Irene occupata (senza successo) a tessere un’alleanza matrimoniale con Carlomagno: tuttavia su richiesta di Giovanni, Irene accettò di nominare co-doge il figlio di questi, Maurizio, come prima suo padre aveva fatto con lui.
Anche se politicamente isolato, Giovanni non rinunciò alla vendetta: atteso il momento opportuno organizzò un attacco di sorpresa a Grado per rapire il Patriarca, che poi uccise barbaramente gettandolo da una torre e decapitandolo. Al posto del vecchio Patriarca, Giovanni mise un sacerdote suo parente, che però non volle saperne della carica e cercò rifugio presso Carlomagno. L’azione crudele non passò sotto silenzio: nell’803 una sommossa partita da Malamocco, che ormai era la base del partito dei filofranchi, lo depose e costrinse padre e figlio alla fuga verso Mantova, dove morirono entrambi.

Angelo Participazio (data nascita sconosciuta – 827) è stato il decimo Doge della Repubblica di Venezia.
Apparteneva ad una ricca famiglia di Eraclea, che possedeva molti terreni e fondaci commerciali per tutto il territorio: la ricchezza di questa famiglia è tale da rendere credibile la discendenza da essa e da Angelo della famiglia veneziana Badoer, anche essa proverbialmente ricca. Al contrario Venezia e i venetici erano in una situazione di grave calamità: il confronto con Pipino il Breve aveva ridotto gli insediamenti sulle isole ad un cumulo di macerie. Fortunatamente la pace di Aquisgrana aveva lasciato liberi i territori di Venezia dalle pretese di Carlomagno, lasciandoli a Bisanzio, che era convenientemente lontana. Inoltre la pace portò ai venetici il permesso di commerciare liberamente anche con l’Occidente. Sotto il dogato di Angelo venne coniata perfino la prima moneta veneziana.
La riedificazione di Torcello, Burano, Eraclea e Rialto configura per la prima volta un abbozzo della Venezia moderna: si progettarono ponti e nuove vie d’acqua, sfruttando il Brenta: nasce il Canal Grande e Rialto diventa la sede del Dogado con un palazzo-fortezza fatto costruire vicino alla chiesa di San Teodoro. In seguito, civitas Rivoalti sarebbe diventata civitas Venetiarum.
Altri insediamenti vennero creati da Angelo inviando gente ad abitare sulle barene che circondavano Rialto, dove vennero costruite perfino delle chiese; ma le notizie storiche sono troppo scarse per capire se la conformazione di quei primi nuclei era assimilabile alla Venezia che conosciamo oggi.
Mentre riedificava Venezia, Angelo pensava di rendere ereditaria la carica di Doge; ma i Veneziani, memori delle precedenti sventure portate dai precedenti Dogi-tiranni, gli affiancarono due tribuni nell’amministrazione della giustizia. Per tutta risposta il Doge associò nella sua reggenza uno dei figli, il secondogenito Giovanni, essendo il maggiore a Costantinopoli in quel momento. Il figlio maggiore non prese bene la nomina del fratello, e tornato a Venezia non si recò nemmeno a salutare i colleghi, ma prese armi e bagagli andò ad abitare con la moglie a San Severo. Per non inimicarsi Costantinopoli, Angelo esonerò Giovanni dalla carica di co-doge e vi insediò il fratello maggiore, associandovi anche il terzogenito Agnello (o Angelo: omonimo del padre): ma a questo punto Giustiniano pretese anche che il fratello venisse esiliato a Zara, per evitare l’influsso delle sue tendenze francofile. Decisione non del tutto errata, perché da Zara Giovanni partì per Bergamo, per perorare la sua causa presso l’imperatore d’Occidente Ludovico il Pio, che tuttavia in quel momento non aveva nessuna intenzione di inimicarsi il suo pari a Costantinopoli. Così, dietro richiesta degli ambasciatori di Venezia, Giovanni fu riportato a Venezia e poi a Costantinopoli, dove rimase come ostaggio.Nemmeno questo atto fu privo
di conseguenze: per ritorsione Lotario, figlio di Ludovico il Pio, ordì una congiura contro il dogado insieme al Patriarca di Grado, Fortunato, che era stato reinsediato. La congiura venne scoperta quasi subito, e sebbene Fortunato riuscisse a scappare, due suoi complici vennero presi e condannati a morte.
Alla fine, il vecchio Angelo morì nell’827, facendosi seppellire nella cappella di S.Ilario, presso Fusina.

Giustiniano Participazio (data nascita sconosciuta – 829) è stato l’undicesimo Doge della Repubblica di Venezia.
Arrivò alla carica di Doge alla morte del padre e predecessore Angelo Participazio, che lo aveva associato al dogado come co-doge. Già vecchio al momento della successione, regnò per soli due anni che però furono pieni di eventi.
L’imperatore d’Oriente chiese aiuto militare a Venezia per una spedizione contro i Saraceni in Sicilia, il che rappresenta la prima testimonianza storica della considerazione in cui veniva tenuta la forza militare della nascente Venezia: il successo di tale spedizione aumentò di molto il prestigio della città. Contemporaneamente sorse la contesa (fomentata da Carlomagno e da Lotario) fra i patriarcati di Grado e Aquileia su chi avesse supremazia sui vescovi dell’Istria.
L’evento di gran lunga più importante è la traslazione a Venezia del corpo di San Marco Evangelista: a tale santo si doveva, sette secoli prima, l’evangelizzazione delle genti della laguna. Molti veneziani andavano in pellegrinaggio a venerare la salma imbalsamata del santo ad Alessandria d’Egitto, dove era custodita: così due mercanti, Buono di Malamocco e Rustico di Torcello, su ordine esplicito di Giustiniano corrompono due monaci alessandrini e trafugano la salma, facendola passare alla dogana saracena ricoperta di carne di maiale,notoriamente impura per i musulmani.Fu così che il 31 gennaio 828 San Marco arriva a Venezia tra il tripudio generale.
Dopo un dilemma iniziale su chi dovesse essere patrono di Venezia, San Teodoro o San Marco, si sceglie quest’ultimo: per non far sfigurare il nuovo patrono di fronte a Teodoro (la cui chiesa era allora la più grande di Venezia) Giustiniano ordina la costruzione di una chiesa adatta, ma sentendosi ormai giunto alla fine della sua vita richiama urgentemente il fratello Giovanni da Costantinopoli, lo nomina Reggente e gli passa la carica,fa testamento, imponendo alla moglie e alla nuora di portare a compimento la nuova chiesa di San Marco. Muore poco dopo, nell’anno 829.

 


CASTELLO

Il Castello di Mestre, come risulta dalle antiche mappe, sorgeva all’incirca sull’area oggi circoscritta da via Manin, via Spalti, via Caneve (tratto est), via Fapanni. Era costituito da un periplo di solide mura della lunghezza di circa un chilometro con gli assi interni rispettivamente quello nord-sud di 350 metri e quello est-ovest di 250 metri. Del Castello è fatta menzione per la prima volta in un documento del 1152 ma la sua costruzione pare possa farsi risalire intorno al mille ad opera dei Trevisani che avevano il dominio sul territorio. Le mura erano interrotte da numerose torri (forse una quindicina) e da tre porte rivolte a levante, a mezzogiorno ed a ponente che davano accesso alle strade che portavano rispettivamente al Porto di Cavergnago, al Borgo di S. Lorenzo, ed al Terraglio. In corrispondenza ai due assi interni, il Castello era attraversato da tre strade che formando una specie di croce convergevano sul Palazzo del Podestà e Capitano che sorgeva dove ora si trova il Municipio: la Strada del Quartiere (via Torre Belfredo) la strada delle Caneve, e quella del Palazzo. A nessuno è dato di sapere cosa abbia visto il Castello e quale parte abbia avuto in quel mare di violenza che contrassegnò i cinque secoli che portarono alla ribalta della storia italiana i Goti, i Longobardi, i Franchi e l’Impero. Gli storici invece ricordano che nel XIII secolo Ezzelino da Romano conquistò il Castello ma non poté tenerlo che per pochi anni perché i Trevisani glielo ritolsero; che nel XIV secolo fu da Can Grande aggredito con ripetuti assalti e dopo lunga lotta conquistato e gli Scaligeri lo ebbero in loro potere finché non vennero i Veneziani ad impadronirsene; che, sempre nel XIV secolo, la sanguinosa guerra di Chioggia non risparmiò Mestre ed i disperati attacchi delle forze della Lega si infransero contro le mura del Castello validamente difese dai mercenari della Serenissima; che nel XV secolo si videro gli ultimi ed inutili tentativi del Carrarese per impadronirsi di quell’importante caposaldo; che nel XVI secolo le armate veneziane disfatte dalle forze della Lega di Cambray ripararono in esso e che questo più tardi subì l’occupazione ed il saccheggio da parte di truppe spagnole e tedesche. Consolidatasi la dominazione della Repubblica di Venezia in Terraferma la funzione del Castello venne a cessare e subentrò la rovina.
Diventato cava di materiali per la costruzione di altri edifici un poco alla volta mura e torri furono distrutte per cui ben poco è rimasto ai nostri giorni dell’antico manufatto.

Dal libro -Uomini, cose e fatti di Mestre - di Luigi Brunello.