Per non dimenticare
Decine di persone annegarono...
a cura di Aldo Ghioldi

Per le forti piogge il 26 settembre 2007, a Venezia, scatta il Codice rosso. 
Vuol dire forti disagi, soprattutto per la circolazione stradale di Mestre e Marghera. Ma ben altri ricordi suscitano in me gli allagamenti, le alluvioni...

Polesine 1951.
Vigili del fuoco del Comando Provinciale di Venezia
aiutano delle persone ad evacuare.



Le foto sono state estratte dal sito: www.comuneadria.net/storia/po/foto.

Quando sento notizie di allagamenti, di alluvioni, non posso non pensare a quella terribile avvenuta nel Polesine nel 1951. Allora avevo solo dodici anni e mio padre, vigile del fuoco, si trovava nelle zone operative e per quindici giorni, noi familiari, non abbiamo avuto nessuna notizia di lui.
Non dava e non poteva dare notizie per le disastrose condizioni in cui si trovava la zona alluvionata, in difficoltà per qualsiasi tipo di servizio.

La cronaca locale di quei giorni così descrive la situazione nelle zone situate nel corso inferiore del fiume:
Il 12 novembre 1951, le acque del Po, a causa delle intense e continue precipitazioni, supera il livello di guardia. L’isola di Polesine Camerini viene invasa dalle acque e circa 3.000 persone devono essere evacuate.
Purtroppo nella zona si teme un peggioramento della situazione per la sempre più imponente massa d’acqua che giunge dal fiume e tutte le speranze sono riposte in una maggiore ricettività del mare. Ovunque continuano i lavori di riparazione e di tamponamento degli argini. Intensa e continua l’opera dei vigili del fuoco, dei carabinieri, dei barcaioli per il trasporto degli sfollati.
Alle ore 20 del 14 novembre, per delle falle prodottesi negli argini del Po, nella zona di Occhiobello, provocano l’allagamento di tutta la zona tra il Po, la fossa di Polesella e il Canal Bianco. Prese dal panico e dalla disperazione le popolazioni, in piena notte, si danno alla fuga con appena qualche fagotto, o con niente, appena vestita tanto è lo spavento e l’impulso della fuga immediata.
Intanto da altre località affluiscono a Rovigo a centinaia e centinaia gli alluvionati, spaventati piangenti ma, almeno, non vengono segnalate perdite umane.
Sembra che il grande fiume si sia dato, nella sua furia, un limite, che voglia attuare non una vendetta ma una rivendicazione. Invece decine di persone che si trovano in un camion annegano nelle acque dall’inondazione.
Si è sparsa la notizia che gli argini del Po non avrebbero tenuto e il camion parte, verso la mezzanotte, da Rovigo per portare soccorso a chi ne ha più bisogno. Il viaggio si fa avventuroso. Le strade fanno paura, mettono i brividi. Per strada una moltitudine di persone piangenti, una fila di carri e di carriole carichi di donne di bimbi di masserizie. A intasare le strade un procedere lento di buoi, mucche e cavalli.
Il camion prosegue il suo cammino perché altri più esposti al pericolo attendono un soccorso. Ma a Frassinelle l’acqua montante, vertiginosamente, dirotta l’automezzo su un cascinale dove sono concentrate, sbigottite, circa trenta persone. Il carico si effettua convulsamente: qualcuno vuole restare e vuole partire nello stesso tempo.
Finalmente, verso le tre di notte l’autocarro prende la via del ritorno; è rimasto inesorabilmente indietro. L’acqua, alle spalle, aumenta sempre più, le ruote scavavano solchi nel fango, il motore fatica.
In tre chilometri la catastrofe.
Improvvisa l’ondata si profila anche davanti: la piena della seconda rotta ha aggirata la posizione e congiunge le sue masse. Il camion è bloccato in un istante.
In pochissimo tempo l’acqua è sopra le ruote.
Quel che è successo dopo i sopravvissuti lo ricordano come un incubo straziante.
Il bilancio definitivo delle vittime (84) è possibile solo quattro mesi dopo.
Oltre al tragico fatto, la cronaca si sofferma a descrivere l’evolversi della situazione che va via via aggravandosi.
La nuova massa d’acqua ingrossa a dismisura il Canal Bianco e poco dopo rompe l’argine a Sant’Apollinare con uno squarcio di una decina di metri e sempre verso Rovigo.
Vengono fatti giungere a Rovigo, con camion militari, con autocorriere e con automezzi requisiti a ditte e privati, migliaia di alluvionati saturando ogni possibilità di ricetto. Diviene quindi indispensabile organizzare il trasferimento degli alluvionati in altri luoghi di accoglienza. Ne sono stati avviati circa settemila in provincia di Padova e mille a Verona. Altri a Vicenza e a Venezia.
Per tutta la notte gran parte di Rovigo ha vegliato.
Per la rotta di Sant’Apollinare del Canal Bianco e di Arquà Polesine, l’allagamento ha ormai raggiunto l’argine del Naviglio Adigetto, nella immediata periferia della città.
A mezzanotte in città l’acqua tracima abbondantemente in più punti.
Dal Bassanello l’acqua avanza verso il centro cittadino con previsione di allagamento di una larga zona centrale entro poche ore.
La popolazione è invitata a sfollare la città concentrandosi nella stazione ferroviaria.
Venerdì 16 novembre alle ore 23 Adria segnala l’acqua ad appena 300 metri dal centro della città: rimane aperta soltanto la strada per Cavarzere ma con probabilità di imminente chiusura al traffico per allagamento.
Alcuni corti circuiti fanno presumere che presto sarebbe venuta a mancare la luce. Si segnala la necessità di torce a vento e di un anfibio di salvataggio.
A Ca’ Emo alla stessa ora circa 300 persone risultano isolate mentre comincia a verificarsi qualche crollo.
Sabato 17 novembre si aggrava la minaccia su Rovigo. A mezzanotte viene dato l’ordine di sgombero
Alle ore 24 tutti gli altoparlanti dislocati nei punti strategici della città di Rovigo hanno trasmesso il seguente annuncio: In seguito all’ampliarsi della frana determinatasi in località San Sisto Buso, si ordina a tutti i cittadini di abbandonare immediatamente la città con tutti i mezzi a disposizione, anche a piedi. Essi devono dirigersi verso Boara Pisani dove troveranno autocolonne che li avvieranno verso Padova.
E intanto Adria è invasa dalle acque e rimane completamente isolata.
L’allarme disperato che si era previsto per gli argini dell’Adigetto è venuto invece dalla Bassa Polesana.
I ventimila rimasti nell’abitato non hanno aperta che la via di Cavarzere. Non ne approfittano. A Mezzogiorno anche quella strada è tagliata.
Intanto di casa in casa, per la furia della marea, si sparge il panico. Qualche famiglia è realmente in pericolo.
Si organizzano delle cordate a nuoto in mezzo ai vortici, qualche coraggioso si avventura, assicurato con corde, nel salvataggio di alcuni uomini, di molte donne e bambini.
Il 18 novembre mentre a Rovigo diminuisce il pericolo di inondazione, ad Adria inizia il salvataggio e si prevede lo sfollamento degli abitanti.
Il primo anfibio di soccorso giunge ad Adria, da 24 ore completamente isolata, alle ore 12.30. Era partito da Cavarzere per fare da staffetta a tutti gli altri mezzi di soccorso concentrati presso il paese.
L’anfibio non porta niente con se, solo la certezza che l’assedio è finito.
I primi aiuti giungono tre ore dopo. E arrivano per via acquea.
Alle ore 15.30 la foschia, che riduce la visibilità a duecento metri è rotta da un raggio di sole... su quel raggio di sole si infila un cacciabombardiere che pennella un lancio magistrale. Piovono sulla piazza Garibaldi 10 sacchi di viveri. Un altro aereo, un trimotore S. 82, imita la manovra ed è paracadutato un pacco di medicinali e di steridrolo per la purificazione dell’acqua.
E’ poca cosa per i 30 mila isolati nella città e nei comuni limitrofi, ma è l’inizio.
I ventimila di Adria devono tutti evacuare al più presto.
La città è sulla via delle acque, di tutta la marea che ha invaso il Polesine e che fatalmente dovrà riversarsi nell’Adriatico. 
Lo sgombero è l’unica soluzione, anche perché i rifornimenti e il vettovagliamento con mezzi eccezionali non possono essere continuati per settimane. I trentamila cominceranno a lasciare l’abitato all’indomani mattina. Un nuovo esodo, un nuovo spettacolo tremendo di miseria e desolazione.
L’angoscia è invece definitivamente alle spalle di Rovigo.
Niente era successo nella notte e ciò consiglia i rimasti alla tranquillità.
Riaprono dapprima timidamente i negozi indispensabili, poi anche i caffè e, sotto mezzogiorno, perfino un paio di barbierie. Sonano a Messa le campane e la gente si ritrova a bighellonare in piazza.

Danni provocati dall’alluvione del 1951.
Ci sono stati danni in tutte le località rivierasche, ma quelli maggiori si sono avuti nel Polesine:
- 900 furono le case distrutte;
- 300 quelle danneggiate;
- 38 comuni vennero invasi dalle acque;
- 160 mila furono le persone costrette a lasciare la propria terra.