Racconti
di Valter Fontanella

 

 

 


 

La prima parte della mattinata è trascorsa imprevedibilmente tranquilla, quasi noiosa. I bambini si sono applicati ai loro piccoli compiti con molta calma, anche se, al solito, non sono stati proprio silenziosi.
Giuseppina Poletto, maestra della scuola dell’infanzia Pippi Calzelunghe, segue ora con occhi attenti i giochi allegri ed esuberanti con cui, nel cortile della scuola, i piccoli trascorrono il tempo della ricreazione del mattino.
A un certo momento la raggiunge in cortile un’ausiliaria, per comunicarle che il dirigente scolastico la desidera al telefono. Giuseppina prega l’ausiliaria di badare per qualche minuto ai bambini, mentre lei va a rispondere alla telefonata.
Quando sarà libera dall’orario scolastico, e senza nessuna urgenza, dice il dirigente, di recentissima nomina, potrebbe raggiungerlo in sede centrale, perché vorrebbe discutere e coordinare con lei l’ordine del giorno della seduta già programmata per l’inizio della settimana successiva. Se, terminato il turno di lavoro, volesse raggiungerlo nella sede centrale, anche senza preavviso, potrebbero sbrigare quell’incombenza in pochissimo tempo, assicura.
La maestra aveva già altri programmi, per quando fosse finito il suo orario scolastico. Ma forse è meglio accantonarli per il momento, e sbrigare al più presto quella incombenza burocratica, riflette, mentre ritorna in cortile dai suoi piccoli alunni.
E dunque, non appena termina il turno di lavoro, Giuseppina si congeda dai suoi bambini. Si porta nel retro della scuola, dove si trova la rastrelliera per le biciclette. Libera la sua dalla catena che la assicura alla rastrelliera ed esce dal cortile della scuola. La giornata di fine settembre è bella e soleggiata, e una corsa in bicicletta, anche se breve, è senz’altro gradevole.
In pochi minuti Giuseppina raggiunge la sede centrale, dove si trovano anche le aule della scuola elementare.
In cortile, mentre assicura con la catena la bicicletta, e anche mentre si avvia con passo sollecito verso l’ingresso della scuola, ha l’impressione di udire qualcuno che sta gridando. Forse è il riverbero di una voce lontana, pensa. In quel momento la voce tace. E però, subito dopo, non appena mette piede nell’atrio della scuola e si accinge a percorrere il lungo corridoio per raggiungere l’ufficio del dirigente scolastico, è certa di udire la voce di un bambino che grida.
Un bambino che grida, e così forte, dentro scuola? Ma cosa mai succede? Si chiede, più incuriosita che impensierita. Giuseppina si guarda intorno perplessa. Si fa più attenta. Cerca di individuare la direzione da cui continuano a giungere le urla del bambino, che ora sembra quasi essere in preda alla disperazione.
Allarmata, Giuseppina accantona senza esitare la decisione di recarsi immediatamente nell’ufficio del dirigente scolastico. La burocrazia può aspettare. Qualcuno deve avere bisogno d’aiuto, pensa, e questo è un fatto ben più urgente.
Subito si avvia con passo risoluto verso la direzione da cui sembrano provenire le urla, che, ne è quasi certa, escono dal locale in cui sono dislocati i gabinetti dei bambini. E ora, avvicinandosi, è certa di udire insieme anche le voci indistinte, ma sicuramente concitate, di adulti.
Nel momento in cui varca la soglia del locale, scorge due ausiliarie. Entrambe le voltano la schiena e sono affaccendate intorno alla porta chiusa dell’ultimo gabinetto, sulla destra. Di là vengono le urla, ora fortissime. Là dentro, senza dubbio, deve essere chiuso il bambino che urla angosciato. Le due ausiliarie, munite di un grosso cacciavite e di una pinza, si stanno evidentemente affaccendando per tentare di scassinare la serratura del gabinetto.
Non appena le due ausiliarie sentono i passi di Giuseppina si voltano a guardarla. Una forte preoccupazione è nei loro occhi. Poi, con voce inquieta e quasi sovrastata dalle urla continue del bambino chiuso in gabinetto, una le dice che si tratta di un ragazzino di prima elementare, uno dei piccoli. Si affanna quindi a spiegarle che il piccolo ha bloccato dall’interno la serratura e che non riesce a sbloccarla. Quando lo hanno sentito gridare, sono subito accorse, per vedere cosa succedeva. Non appena hanno capito cosa era accaduto, hanno cercato di farlo uscire, ma inutilmente.
E ora sono già cinque minuti che tentiamo di aprire quella maledetta porta, senza riuscirci dice una.
E quello ha subito cominciato a urlare come un disperato aggiunge l’altra.
Non sappiamo proprio cosa fare. Bisognerà chiamare un fabbro. E intanto il piccolo resterà di sicuro senza voce conclude la prima.
A sentire le sue urla, il bambino deve essere ora veramente terrorizzato. E non può essere altrimenti, povero piccolo, nel trovarsi tutto solo all’interno del gabinetto e sentendosi incapace di spalancare quella porta. E, in aggiunta, con i rumori inquietanti e incomprensibili prodotti dalle ausiliarie, che cercano di scassinare la serratura.
Per un momento la maestra Giuseppina pensa che è stato veramente un colpo di genio quello di chi ha installato una porta con serratura bloccabile dall’interno nei gabinetti di una scuola elementare, frequentata da bambini piccoli, sempre imprevedibili nelle loro azioni.
Intanto le ausiliarie hanno ripreso ad affannarsi inutilmente intorno alla serratura. Ma forse i loro tentativi non fanno che allarmare ulteriormente il bimbo, pensa la maestra, perché le urla del piccolo, se possibile, si sono fatte più forti ancora.
Che cosa si può fare? Si chiede la maestra. Bisogna evidentemente, e prima di tutto, tranquillizzare il ragazzino, fargli capire che è questione di minuti, prima che la porta venga aperta. Bisogna fare in modo che non si preoccupi ancora di più, fargli capire che prestissimo potrà uscire. Ma come entrare direttamente in contatto con il piccolo che è chiuso in quel locale ristretto, claustrofobico?
Giuseppina gira intorno lo sguardo alla ricerca di un mezzo qualsiasi che possa favorire il tentativo di rassicurare il bambino, che intanto non la smette un momento di urlare. Nel locale dei bagni non vede nulla che la possa soccorrere.
Ed ecco che balena un’idea. Giuseppina chiede alle ausiliarie se c’è a portata di mano una scala. Alla loro risposta affermativa, se la fa portare.
Giuseppina appoggia di lato alla porta la scala e ci sale agile. Si affaccia per controllare la situazione all’interno del gabinetto.
Il ragazzino è seduto per terra, in un angolo, con le gambe ripiegate. Si abbraccia le ginocchia e urla disperatamente con la testa bassa.
Nel momento in cui il bambino trae un lungo respiro, prima di riprendere a urlare, la maestra si sforza di attirare la sua attenzione. Gli si rivolge con calma e gli parla dolcemente. Guardami, non avere paura – gli dice con voce tranquilla -, stai calmo. Vedrai che adesso la porta viene aperta e tu potrai uscire. Ascoltami, intanto. Vedi quella specie di rotella che si trova sotto la maniglia della porta? Prova a girarla verso di me.
Alla voce di Giuseppina il ragazzino ha sollevato il viso. Si alza ora in piedi. Raggiunge la porta. Gira il blocco della serratura. In un attimo spalanca la porta ed è fuori. Di corsa si allontana per raggiungere la sua classe, sotto lo sguardo esterrefatto e incredulo della maestra e delle due ausiliarie, che continuano a tenere in mano cacciavite e pinza.
Tutte e tre si guardano negli occhi, e solo allora trovano sfogo alla forte tensione con una lunga risata.