Luned’Arte
di Stelio Fenzo.

 

Nevio Del Longo


Aula Magna

 

D: Professore Nevio Del Longo l’abbiamo conosciuto come scrittore di un avvincente libro, ma proprio leggendo la quarta di copertina di “CAPRICCIO N° 24” che è stato presentato in Aula Magna il 16 dicembre 2009 siamo venuti a sapere che Lei è psicologo-psicoterapeuta. Questa attività incuriosisce ed interessa sempre perché penso che buona parte di noi, se non tutti, avremmo bisogno del suo intervento. In che cosa consiste?

R: In che cosa consiste la psicoterapia? Bella domanda! a volte consiste nello scoprire le cause di un disagio, di un disagio interno, di un disagio esistenziale, dei problemi psicosomatici, o consiste nell’accompagnare le persone in un cammino alla scoperta di una persona più importante, in assoluto, che sono loro stessi. Ed è un cammino che può durare relativamente poco oppure molto, quanto è necessario a questa scoperta, è sempre un percorso molto avvincente perché ogni rapporto con queste persone è sempre unico e irripetibile che fa sì che si crei una situazione di estrema intimità dove l’altro riesce a rivelare dapprima a sé stesso e poi a me che sono uno strumento quelle che sono le angosce più profonde, le paure più profonde, i sentimenti più profondi che possono essere positivi perché c’è anche la paura d’amare per esempio, così come possono essere magari più autodistruttivi come certi comportamenti come le dipendenze dall’alcol o certe difficoltà nel vivere il lavoro o semplicemente la vita e quindi le persone che arrivano alla psicoterapia a volte arrivano come se fossero all’ultima spiaggia dopo un percorso medico altre arrivano perché sentono il bisogno di comunicare con sé stessi ciò che non riescono a cogliere, a capire la confusione che sentono anche perché i sintomi che spesso sono degli amici cinici ci dicono che qualcosa nella nostra vita bisogna cambiare. Allora abbiamo degli attacchi di panico, per esempio, attacchi d’ansia che noi vogliamo subito anestetizzare con antidepressivi o con ansiolitici, ma in realtà quelli sono degli amici che ci battono sulla spalla e ci dicono: Ehi! Devi cambiare qualche cosa non è possibile continuare in questa direzione, ti stai dimenticando di qualcosa dentro di te. Ed allora è proprio questo imparare a riconoscere questo linguaggio e avere il coraggio di cambiare. La psicoterapia si può dire che sia proprio questo. L’obbiettivo della psicoterapia è cambiare. Cambiare in termini di crescita.

D: Inoltre ci dia per cortesia succintamente la interpretazione dei due termini: PSICOLOGIA E PSICOTERAPIA.

R: La differenza è abbastanza semplice: Psicologo è colui che dopo l’università, fa gli esami di stato, quindi tre anni adesso, più due di specialità e può dedicarsi alla valutazione, ai test, all’appoggio psicologico, all’insegnamento, eccetera. Psicoterapia e quindi psicoterapeuta è colui che, dopo la laurea, fa un percorso di specialità su di sé di quattro anni, in una scuola riconosciuta dallo Stato, proprio per diventare psicoterapeuta perché ci sono delle teorie, delle tecniche, dei riferimenti e lo psicoterapeuta è proprio colui che attraverso degli strumenti psichici riesce in qualche misura ad entrare nell’animo dell’altro ed a favorire questo cambiamento di cui si parlava prima. Lo psicologo invece ha meno competenze in questo caso.

D: La seconda sua attività di scrittore può dirsi una conseguenza della prima in quanto ricercatore e conoscitore della natura umana?

R: Il mio interesse è sempre stato quello dei paesaggi interiori, quello degli stati d’animo, dei sentimenti, delle emozioni, di quello che succede dentro l’uomo. È una curiosità che è nata molto lontano nel tempo e che anche nel modo di scrivere, nel modo di interpretare un romanzo, una storia è centrale per me. Quindi non sono molto interessato alle azioni, a tutto quello che avviene freneticamente all’esterno, ma sono più interessato ai paesaggi interni a quello che avviene internamente. Per me questo è probabilmente un vizio che mi proviene dall’essere psicoterapeuta. Se devo pensare tra una rincorsa fra auto e magari una sfumatura di un sentimento, preferisco senza dubbio la seconda.

D: Ci parli ora della sua attività di scrittore: Perché?

R: Io ho sempre scritto poesie per esempio, sempre letto tanto. Era una cosa che, fin da piccolo, i miei genitori mi hanno stimolato a fare: quello della lettura, quello di poter avere questa sensibilità e attraverso questo mi sono trovato spesso a scrivere poesie, che ancora conservo, a scrivere racconti che magari facevo girare in classe, eccetera, eccetera. Questo per me è stato una rivelazione da una parte di quel che erano i miei sentimenti la mia percezione, il modo anche di leggere le cose che avvenivano sia dentro di me che al di fuori di me, che anche un processo di crescere, di mantenere viva la curiosità. Credo che lo scrivere aiuti a mantenere viva quella capacità che io chiamo capacità de reverie, cioè la capacità di mantenere quell’immaginazione quello sguardo poetico, quello sguardo sognante che tutti noi abbiamo, di cui siamo impastati fin dalla nascita. Mi ricordo che la prima volta che ho letto sul “Corriere della Sera” di un concorso di poesia, ho avuto il coraggio di mandare una poesia al Premio di Marineo, a Palermo, e sono stato selezionato tra i vincitori, tra coloro che hanno ottenuto il premio. Questo era nel 1978, quindi tanti anni fa. Poi ho partecipato a tanti altri concorsi ed ho vinto, fino a che ho capito che potevo fare a meno di fare i concorsi perché avevo come legittimato dentro di me la possibilità di essere così un poeta allora, adesso uno scrittore e devo dire che non ho mai pensato ai libri come un qualche cosa già prefissato, ma anche nel racconto e un pò la scoperta cioè i personaggi bussano alla porta e quasi ti obbligano a scrivere la loro storia e per me è stata questa una scoperta.

D: Durante la presentazione tenuta in Aula Magna il suo libro “Capriccio N° 24” è stato analizzato (anche con l’eccellente aiuto del dott. Alfredo D’Ilario) molto a fondo. Ora la prego di parlarci del “PIANETA DELLE MIMOSE” che è stato editato in Cile nel 1994 (come si può leggere sempre nella quarta di copertina). Perché in Cile?

R: Il PIANETA DELLE MIMOSE è stato il mio primo romanzo: l’ho scritto tra l’89 ed il 92 circa. Un libro che mi ha visto impegnato particolarmente perché era il primo racconto lungo e articolato che facevo rispetto a poesie o magari a racconti brevi. Quindi è stato impegnativo da questo punto di vista di dover tenere sempre sotto controllo tutti i personaggi: l’ho scritto con l’entusiasmo della gioventù, con grande forza di volontà perché lo scrivevo durante il tempo libero, eccetera. L’ho terminato nel ’92 quando io per due anni circa ho vissuto in Cile come cooperante di una ong, dove poi ho conosciuto mia moglie; e in Cile l’ho presentato al primo editore con cui avevo a che fare. L’editore l’ha letto in italiano, però mi ha invitato a tradurlo in spagnolo, offrendomi la prospettiva di pubblicarlo. Quindi con un amico cileno di origine milanese, che anche lui è psicologo e psicopatologo, Alfonso Masciarelli che ricordo sempre con piacere, ci siamo avventurati nella traduzione di un libro che proprio per l’uso poetico delle parole è stato molto, molto avventuroso anche perché i modi di dire e le sfumature sono molto difficili in due lingue e due culture diverse anche se molto simili le lingue quindi mi sono accorto subito quanto difficile sia una traduzione. Il libro poi è stato pubblicato.

D: Perché non ancora in Italia? Mi permetto di dire che avendolo letto l’ho trovato, secondo il mio modesto parere, molto avvincente!

R: Devo dire che quando poi sono tornato in Italia ho parlato con tre o quattro case editrici alle quali ho mandato il dattiloscritto e nessuno mi ha mai risposto. E allora l’ho lasciato lì e nel frattempo poi è arrivato l’altro che ha fatto un cammino diverso e quindi è arrivato “CAPRICCIO N° 24” che poi si è trasformato in un vero e proprio libro. Perché non è stato pubblicato qua? Perché io sento che c’è ancora un rodaggio da fare e magari cambiare ancora qualcosa, però devo dire la verità potrebbe anche essere pubblicato in Italia e magari vedrò come va a finire “CAPRICCIO N° 24” e lo proporrò anche quello. C’è un’opzione perché venga pubblicato.

D: Entrambe le protagoniste dei due romanzi sono donne. Perché?

R: Perché le protagoniste sono donne... non lo scelgo io, ma devo dire una cosa che il mondo interiore, il mondo della profondità è un mondo che ha più a che fare con l’anima femminile che con l’anima maschile. L’uomo è più preoccupato per le cose, per la concretezza materiale, per l’agire, per il fare, per l’entusiasmo delle idee. Le donne sono più, diciamo così, impregnate, più sensibili, più profonde in quelle che sono le sfumature dei sentimenti, delle emozioni e nel rapporto con la vita, quindi è così anche nel mio lavoro ci sono molte più donne che uomini quindi ho molta più possibilità di riferirmi, di cogliere, di esplorare il mondo femminile che quello maschile che conosco attraverso un po’ me stesso, il lavoro che ho fatto su me stesso e trovo più affine al mio modo di scrivere e di vivere un romanzo eccetera, quello femminile che è più interiore rispetto a quello maschile che è più esteriore, si può dire quindi che i miei libri sono scritti più dalla mia anima femminile che dal mio animus maschile parlando ancora in termini junghiani e questo lo trovo molto relazionato al mio lavoro.

D: Una curiosità : Laura la protagonista del “Pianeta delle mimose” alla fine del libro si reca a Tegucigalpa in Honduras dove incontra padre Felipe: Personaggio della fantasia?

R: Io sono stato a Tegugigalpa a trovare un amico salesiano don Rosario Sabbadin cui sono legato con molto affetto, lui adesso è in Bolivia. Il lavoro che lui ha fatto con i ragazzi di strada, un lavoro straordinario che ho sempre ammirato, di una grandissima generosità e di impegno totale.
Non si può dare poco, bisogna dare tutto come lui sta dando come tutte le persone che lavorano nel hogar (casa-famiglia) , nella realtà di là.
Quindi quell’esperienza che ho fatto è stata un’esperienza molto intensa e molto forte come se uno dà dieci e riceve cento, è più quello che si riceve rispetto a quello che si dà e per me è stata una grande esperienza di crescita umana e interiore, così ho voluto appunto dare così un segnale che quello che ho vissuto a Tegugigalpa non è stato inutile. Lo volevo testimoniare magari anche condividere con altri. Queste sono esperienze che cambiano anche altrettanto come una psicoterapia, che cambiano spesso il baricentro dei valori di una persona.

D: Se si Le chiedo il processo attraverso il quale Lei è arrivato a questa scelta per terminare l’avventura interiore di Laura, ma forse la mia domanda è impertinente ed un po’ indiscreta.

R: Come tutte le persone che magari sono auto centrate su sé stesse e quindi hanno o una nevrosi o comunque una fissazione e sentono sempre che manca qualcosa, che la vita e il destino ingiusto con sé stessi, che sentono l’inconsistenza della propria vita e il passaggio ad uno stato, diciamo, in cui ci si decentra da sé stessi e si vive anche dei problemi, diciamo così, di sopravvivenza come era in Honduras o dei sentimenti molto forti, eccetera, crea una (come si può dire) scioglie alcune difese e permette, se la persona è ricettiva ed è in una posizione di crescita, permette in qualche misura proprio di maturare e di trovare un equilibrio o per lo meno di passare da una visione un po’ troppo egocentrica ad una visione quasi di scoperta dell’altro. Questo aiuta molto perché si ridistribuiscono poi i valori, come dicevo prima, ed anche la scala della sofferenza personale. Allora a quel punto si può dare anche un nuovo valore alla propria vita, una nuova esistenza, si può anche riuscire a migliorare qualche cosa. E’ il processo che ho fatto fare a Laura, un processo simbolico, non è un processo reale, molte persone in realtà fuggono continuamente, ma si portano il disagio dovunque vadano, io ho voluto far sì che in quest’esperienza di Laura ci fosse anche la possibilità reale di crescita e di liberazione e non di creare ulteriori problemi o di venire collassata da questa sofferenza esterna. Per cui non è vero che andare nel terzo mondo o andare in situazioni difficili aiuti, se non si è in una posizione di autenticità e di ricettività anche equilibrata. Il momento di sofferenza può essere utile, ma è meglio andare quando la scelta è una scelta libera e consapevole. Quindi nel caso di Laura è soprattutto un passaggio simbolico, una crescita che avviene attraverso delle esperienze esterne in questo caso che l’aiutano a rivedere anche certe condizioni interne.

Il professore Nevio del Longo vive e lavora a Marghera con la moglie dott.ssa Claudia ed i giovani figli Michela e Gianfranco. Ora la saluto e la ringrazio per la sua gentilezza e pazienza!