Arte contemporanea
Martellago, 24 novembre 2010
di Mario Zampierin

 

(Opera di Riccardo Corte)



Organo Muto



 

Commento

La musica, la scrittura musicale comprende una serie di segni grafici per indicare i valori di durata, sia del suono, sia del silenzio. I valori di durata dei suoni trovano corrispondenza con i valori di durata dei silenzi (pause), sicché ad ogni nota corrisponde una durata e una relativa, uguale pausa.
Ora, da un punto di vista filosofico e concettuale, ossia dal punto di vista estetico e della trasmissione d’immagini, se un artista si pone il problema di trasferire in arte il concetto di silenzio, quale opera migliore di quella espressa da Riccardo Corte “Proposta per un organo Muto”, (omaggio a Cage) poteva riassumerne in sé l’essenza?
Concettualmente il compito dell’artista deve essere quello non di riprodurre la realtà, perché la realtà è già opera della natura, ma di operare oltre la realtà, vale a dire, fare quello che la natura non ha potuto o voluto fare, questo è il significato vero dell’arte, a cui un artista deve tendere. Ebbene questo compito di creazione, è stato, a mio parere, assolto egregiamente da Riccardo Corte.
Nel suo gesto creativo Corte, sfidando la logica e le leggi dell’acustica, è andato oltre ogni immaginazione, concependo una macchina che, attraverso la tecnica della composizione, produce silenzi (pause) musicali. La sua arte, sempre improntata al massimo rigore simmetrico, incarna elementi che vanno dal dadaismo di Duchamp, a quella forma particolare di montaggio propria delle opere di Schwitters, che costituiscono una particolare declinazione del dadaismo stesso, ma che in Corte assumono un valore di funzionalità e di evidenziazione degli opposti. Che dire? un’idea geniale, ben oltre ogni possibile fantasia.
Nel titolo Corte dice che la sua opera è un omaggio a Cage, compositore statunitense, uno dei musicisti più innovativi della musica moderna contemporanea. Difatti egli dice: “…il silenzio è una condizione del suono, anzi, è il più sublime dei suoni. È quindi materia sonora a tutti gli effetti, sottolinea e amplifica i suoni, li rende più vibranti, ne preannuncia l’entrata, crea suggestivi effetti di attesa e sospensione, può addirittura invadere il linguaggio”.
Il concetto del silenzio (come condizione del suono), è valido anche in letteratura: servirsi del silenzio come mezzo espressivo è indispensabile per far risultare eloquente il senso di una frase. Il silenzio, il non detto, è dunque pieno di potenziale significato, e non soltanto in musica o in letteratura.
Corte ha costruito la macchina del silenzio, ma solo per rispetto a Cage l’ha chiamata “Organo muto”, al posto del più appropriato titolo “Macchina per la produzione del silenzio”.
Se ci lasciamo andare con l’immaginazione, quest’opera ci porta in una dimensione cosmica, ci fa pensare agli spazi immensi dell’universo, dove a dominare la scena della trasformazione della materia non è lo stridore assordante, ma il dilagante silenzio perpetuo; allo stesso tempo Corte ci ripropone, con il suo “Organo muto”, il tema della ineluttabilità della fragilità dell’uomo, quell’uomo che dopo il chiasso della vita terrena dovrà con rassegnazione accettare la condizione della sua debolezza impostagli dalla “Macchina della natura” che, ad un certo punto della partitura universale, fatalmente, per ognuno, suonerà la nota del silenzio.
Concludendo, si può tranquillamente affermare, per quanto pronunciato da Cage, che Corte ha costruito la macchina che esprime il più sublime dei suoni: il silenzio. Ma se il silenzio è il più sublime dei suoni, la macchina che lo produce si pone ad un più elevato livello concettuale, rivelandone la natura creatrice propria dell’arte.
Se Back fa dell’organo lo strumento che per eccellenza esprime la potenza del sublime, Corte crea l’organo che esprimere l’immensa estensione tonante (in uno spazio smisurato), del silenzio sublime descritto da Cage.

L’arte contemporanea

A corredo e chiusura dei commenti sulle opere di Riccardo Corte: “Proposta per un organo muto” e “Senza titolo”, è scaturita questa, del tutto personale, esposizione sull’arte contemporanea che spero giunga gradita.

L’arte, quando si esprime unicamente (o quasi) con i colori e attraverso l’indistinzione della forma, predispone maggiormente il soggetto fruitore al contatto con l’anima, con ciò che di più spirituale c’è in noi, e quindi dove non arriva immediata la comprensione, per mezzo della visione delle immagini, è il nostro intelletto che si predispone a una vista immaginifica e creativa. È proprio in questo senso che l’opera di Corte, astraendosi dalla realtà, ci propone l’immagine della morte nel suo aspetto più feroce, come Arte contemporanea.
L’arte contemporanea, per alcuni, parte dagli anni sessanta (Pop Art, Nouveau Realisme, ecc.), per altri, dal secondo dopoguerra (Espressionismo Astratto, Arte Informale, ecc.), per confluire nell’attualità, con artisti come: Joan Baldessari, Hector Zamora che hanno partecipato alla 53° esposizione internazionale d’arte, la Biennale di Venezia. Essa assume tutti gli aspetti caratteristici di un modo di concepire il fatto artistico lontano dai vincoli ristretti di uno stile (movimento o corrente) ben consolidato, adoperando un linguaggio d’ampio respiro, che abbraccia tecniche diverse, anche in combinazione tra loro (classico esempio sono quelle forme particolari di montaggio proprie delle opere di Schwitters, “composizioni artistiche adoperando, oltre alla pittura ad olio, materiali usati di vita quotidiana”. Il concetto è: il materiale decontestualizzato dall’uso pratico, non perde la sua caratteristica formale, siccome l’arte è forma, esso assume valore artistico).
L’opera contemporanea di Corte (riprende alcuni aspetti della metafisica e dell’informale anche se una certa forma traspare) è, a mio parere, in grado di catturarci e di farci rivivere emozioni (come se fossimo presenti sulla scena del misfatto) cariche di spontaneità e verità difficili da avvertire nell’arte figurativa; nella sostanza Corte (anche se ci priva della visione della realtà che porta verso il sensibile) ci predispone all’emotività e lascia se stesso, svincolato dal rigore della forma, la più ampia libertà d’espressione emotiva, che solo la purezza del colore (materia non corruttibile) può trasmettere.
Ora l’arte contemporanea e quella figurativa o naturalistica si pongono su un piano d’assoluta identità rispetto alla funzione propria dell’arte stessa: ritrarre la natura, il vero. La mimesi (o imitazione della natura), secondo Aristotele, deve intendersi nel senso non di rifare ciò che la natura ha già fatto, ma fare quel che la natura avrebbe potuto fare e non ha fatto. In altri termini, ogni arte implica la facoltà di far venire all’esistenza una di quelle cose che possono sia essere che non essere ed il cui principio è in chi produce e non nella cosa prodotta. La spiegazione di questo concetto è di fondamentale importanza rispetto al fatto che l’arte contemporanea di Corte non deve essere intesa in senso antinaturalistico; essa si pone, come l’arte figurativa, il problema dell’imitazione della natura o mimesi, intesa in senso aristotelico.
La differenza fondamentale che distingue l’arte contemporanea da quella figurativa (anche se non è raro trovare nell’arte contemporanea influssi figurativi: penso a Balthasar K³ossowski de Rola detto Balthus e Lucian Freud) sta nel linguaggio adottato, che si esprime con tecniche che cercano di ridurre all’essenza il disegno e usa il colore e altri componenti, oggetti di vita quotidiana ready-made (traducibile come istantaneo, “detto fatto” di Duchamp), come manifestazione delle emozioni e delle componenti ludiche, ironiche e simboleggianti suscitate dalla natura.
Difatti, davanti ad un quadro contemporaneo (come quello di Corte) non si riflette, ma si gode dell’emozione che la sua pittura trasmette: ansie, coinvolgimento in uno stato d’animo partecipativo del fatto, che ci cattura, che ci fa rivivere, probabilmente, le stesse emozioni da lui provate.