Anche Guccini, nella canzone resa famosa dai Nomadi, ed ispiratagli per l’appunto dall’aforisma “Dio è morto”, diceva che Dio è morto con il perbenismo interessato, con ciò che spesso è mascherato con la fede, con la falsità e la dignità fatta di vuoto, con l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto, con i miti della razza ecc, ma alla fine Dio risorge...in ciò che noi vogliamo Dio risorge.

 

 

a cura di Gabriele Stoppani

 

NIETZSCHE: la morte di Dio
Incontro con Giuseppe Molin

Quest’anno è stato ospite del nostro gruppo il prof. Giuseppe Molin, docente di filosofia ed appassionato studioso di Friedrich Nietzsche.
Lo abbiamo invitato per approfondire il testo dello stesso Nietzsche che da anni insieme leggiamo e commentiamo, “La gaia scienza”. Dato che gli argomenti esposti in questo libro sotto forma di aforismi sono tanto famosi quanto numerosi e complessi, il professore ha concentrato il suo discorso sulla “morte di Dio” e sul nichilismo.
La morte di Dio è la fine della metafisica, della morale e della religione tradizionale, della credenza in una realtà eterna ed immutabile sottratta all’eterno processo del divenire, della “fiducia” in un essere vero che ordina l’intero universo e orienta ogni cosa verso uno scopo finale. Questo è l’”ombrello” che da sempre ha aiutato l’uomo a sopravvivere difendendolo dagli strali del divenire (la paura della morte del dolore della sconfitta ecc.) e che lui stesso (in particolare il filosofo) ha costruito basandosi sull’idea che il mondo abbia un senso un significato un ordine che egli subisce e non può modificare, che quindi lo precede lo sovrasta e lo determina.
Questo “Dio” cioè questa certezza metafisica assieme alle sue antiche tavole di valori ha nel corso della storia fatto vivere la commedia dei popoli.
I testi di raffronto che il prof. Molin ha curato e che qui pubblichiamo vanno letti nel punto 1 proprio in questa direzione. Nella premessa Heiddeger spiega che nell’espressione nietzschiana “Dio è morto” il termine Dio nell’antichità e nel medioevo ( in Grecia con Archiloco, a
Roma con Orazio, nel Giudaismo e Cristianesimo con il salmo 19) sta per il mondo ultrasensibile degli ideali che costituiscono il fine della vita terrena e nell’età moderna sta per l’autorità della coscienza e della ragione (rispettivamente leggi Pascal e Leopardi).
La liberazione dalla metafisica è la fine dei valori che annichiliscono gli spiriti liberi e impediscono all’uomo di esser sè stesso.
L’azzeramento delle certezze e delle opinioni comuni, il loro annullamento costituiscono per l’appunto il nichilismo che è lo stato psicologico in cui inevitabilmente è entrata la civiltà europea dopo la morte di Dio.
Il dio che è morto ( e che l’uomo dialetticamente ha “ucciso”) crea disorientamento e questo può esser vissuto con angoscia personale, con accettazione ma disappunto inerme e poetico; è qui che il prof. Molin inserisce i testi del secondo punto, riguardanti proprio il nichilismo.
Nella prima parte riporta il “Discorso del Cristo morto annunciante che non vi è nessun Dio” di J.P.F. Richter e la poesia “Cristo al monte degli ulivi” di Gerad De Nerval e li include entrambi in un capitolo che lui definisce giustamente “nichilismo passivo”.
Ma Nietzsche propone un nichilismo attivo, che traspare nei testi finali preparati dal nostro ospite e tratti da “La gaia scienza” e “Così parlò Zarathustra”. E’ l’uomo che sa dire di sì con gioia e forza alla vita, che rifiuta la morale della rinuncia a se stesso, che dismette la commedia delle convenzioni e dei ruoli sociali anonimi ed abbraccia la tragedia della vita vera. Dopo l’annientamento della metafisica e dei
suoi accoliti con la volontà e la potenza della vita l’uomo tenta la transvalutazione di tutti i valori, una sorta di contromovimento che supera il nichilismo, che dimostra che i “sensi” i “fini” gli “scopi” della vita sono solo modalità di espressione e metamorfosi dell’unica volontà che sta dentro ad ogni accadere, la volontà di potenza. Ciò
significa che il valore è sempre il punto di vista delle condizioni di conservazione ed accrescimento per formazioni complesse di vita che non sono mai eterne nè guidate, ma inevitabilmente di durata relativa dentro il flusso (questo sì eterno e “ritornante”) del divenire.
Anche Guccini, nella canzone resa famosa dai Nomadi, ed ispiratagli per l’appunto dall’aforisma “Dio è morto”, diceva che Dio è morto con il perbenismo interessato, con ciò che spesso è mascherato con la fede, con la falsità e la dignità fatta di vuoto, con l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto, con i miti della razza ecc, ma alla fine Dio risorge...in ciò che noi vogliamo Dio risorge.

F. NIETZSCHE (1844-1900)

“La morte di Dio”

Nell’espressione ‘Dio è morto’, il termine ‘Dio’, pensato fino in fondo, sta per il mondo ultrasensibile degli ideali che costituiscono “il fine della vita terrena” [Medio Evo] per “l’autorità della coscienza, l’autorità della ragione” [Età moderna], per “il progresso storico” [Positivismo e socialismo], tutti succedanei dell’antica idea di Dio, per cui quello che era stato ‘il fine della beatitudine eterna’ si trasforma nella felicità terrena universale” (M. HEIDEGGER “La sentenza di Nietzsche ‘Dio è morto’, in “Sentieri interrotti”, Firenze 1968, p. 203).

1. Testi di raffronto

1.1. Antichità greco-romana

1.1.1. ARCHILOCO (VII sec. a.C.)



L’eclissi di sole del 648/647 a.C.
  "Nulla è ormai inaspettato, né da negare con giuramento
né strano, da quando Zeus padre degli Olimpii
in mezzo al giorno fece notte, nascondendo la luce
del sole che splendeva: e madido terrore invase gli uomini.
Da allora ogni cosa si può credere ed aspettarsi,
e nessuno si può stupire se i delfini
si scambieranno i pascoli con le fiere,
se a queste diverranno cari i flutti marini
e a quelli le montagne selvose”.

(Poeti greci, a cura di R. Cantarella, Nuova Accademia Editrice, Milano 1961, p. 131.)

1.1.2. Q. ORAZIO FLACCO (65- 8 a.C.)



Carmen Saeculare pro Imperii Romani incolumitate (3 giugno del 17 a.C.)
 

O Febo, o Diana potente dei boschi,
splendente ornamento del cielo, o venerandi
sempre e venerati, date ciò che invochiamo
nel tempo sacro,
nel quale gli oracoli sibillini prescrissero
che fanciulle scelte e fanciulli casti
agli dei ai quali piacquero i sette colli
. cantassero un carme.
O Sole che dài la vita, che con lo splendido carro
diffondi e nascondi la luce, sempre uguale nasci e sempre nuovo,
nulla tu possa della città di Roma
veder di più grande. […].

(Q. Horatii Flacci opera, a cura di E. Curotto, SEI, Torino 1957, p. 179) 1.2. Giudaismo e Cristianesimo
   
1.2. Giudaismo e Cristianesimo
  1.2.1. SALMO 19
 
“ I cieli narrano la gloria di Dio
il firmamento annuncia l’opera delle sue mani,
giorno a giorno ne trasmette il messaggio,
notte a notte ne confida la conoscenza.
Senza discorsi e senza che pronuncino parole,
senza che si oda la loro voce,
per tutta la terra si diffonde il loro messaggio,
il loro linguaggio ai confini del mondo.
Là ha posto una tenda per il sole
che esce come sposo dall’alcova,
radioso prode che percorre il suo sentiero
sorgendo da una estremità del cielo
per raggiungere l’altra estremità
mentre nulla si sottrae al suo calore . […]”
(I Salmi, a cura di E. Bianchi, Mondadori, Milano 2001, p. 63).

1.3. Medio Evo

1.3.1. DANTE ALIGHIERI. (1265-1321) PARADISO, canto primo



PARADISO, canto primo
  “La gloria di Colui che tutto move
per l’universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove.
Nel ciel che più della sua luce prende
fui io, e vidi cose che ridire
né può né sa chi di lassù discende,
perché, appressando sé al suo disire
nostro intelletto si profonda tanto
che dietro la memoria non può ire.
Veramente quant’io del regno santo
nella mia mente potei far tesoro
sarà ora matèra del mio canto. […]”

1.4. Età moderna e contemporanea

1.4.1. B. PASCAL (1623-1662) Dai Pensieri.

  “L’uomo contempli dunque la natura tutta intera nella sua alta e piena maestà, allontanando lo sguardo dagli oggetti meschini che lo circondano. Miri quella luce sfolgorante, collocata come una lampada eterna a illuminare l’Universo; la terra gli apparisca come un punto in confronto dell’immenso giro che quell’astro descrive, e lo riempia di stupore il fatto che questo stesso vasto giro è soltanto un tratto minutissimo in confronto di quello descritto da­gli astri roteanti nel firmamento. E se, a questo punto, la nostra vista si arresterà, l’immaginazione vada oltre: si stancherà di concepire prima che la natura di offrirle materia. Tutto questo mondo visibile è solo un punto impercettibile nell’ampio seno della natura. Nessun’idea vi si approssima. Possiamo pur gonfiare le nostre concezioni di là dagli spazi immaginabili: in confronto della realtà delle cose, partoriamo solo atomi. È’ una sfera infinita, il cui centro è in ogni dove e la circonferenza in nessun luogo. […]
L’uomo, ritornato a sé, consideri quel che è in confronto a quel che esiste. Si veda come sperduto in questo angolo della natura; e da quest’angusta prigione dove si trova, intendo dire l’universo, impari a stimare al giusto valore la terra, i reami, le città e se stesso. Che cos’è un uomo nell’infinito? […]
Un nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla, qualcosa di mezzo tra il tutto e il nulla. Infinitamente lontano dal­la comprensione di questi estremi, il termine delle cose e il loro principio restano per lui invincibilmente celati in un segreto imperscrutabile: egualmente incapace di intendere il nulla da dove è tratto e l’infinito che lo inghiotte”.
“Il silenzio eterno di quegli spazi infiniti mi sgomenta”

(Pensieri, Milano 1982, p. 188 e sgg.)

1.4.2. G. LEOPARDI (1798- 1837),



dal “Canto notturno di un pastore errante nell’Asia”
 
“ […] E quando in cielo miro arder le stelle
dico fra me pensando:
‘A che tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
infinito seren? Che vuol dir questa
solitudine immensa? Ed io che sono?’
Così meco ragiono e della stanza
smisurata e superba,
e dell’immumerabile famiglia;
poi, di tanto adoprar, di tanti moti
d’ogni celeste, d’ogni terrena cosa,
girando senza posa,
per tornar sempre là donde son mosse;
uso alcuno, alcun frutto
indovinar non so […].”
(dai Canti)

1.4.3. G. PASCOLI (1855-1912)



“X agosto”
 

“San Lorenzo: io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto,
l’uccisero: cadde tra spini;
ella aveva nel becco un insetto,
la cena pei suoi rondinini.
Ora è là come in croce che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra che attende,
che pigola sempre più piano.
Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono.
Ora là nella casa romita,
lo aspettano, aspettano invano:
egli immobile, attonito addita
le bambole al cielo lontano.
E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!”

(da Myricae)

2. Il nichilismo

“Che cosa significa nichilismo? Che i valori supremi perdono ogni valore. Manca lo scopo, manca la risposta al ‘perché?’ ”. (Nietzsche, La volontà di potenza, a cura di M. Ferraris e P. Kobau, Bompiani, Milano 2001, p. 9).

2.1. Il nichilismo romantico (‘passivo’)

2.1.1. JOHANN PAUL FRIEDRICH RICHTER (Jean Paul, poeta romantico tedesco,1763- 1825)



“Discorso del Cristo morto annunciante che non vi è nessun Dio” (1795-96)
  “[…] Una volta, in una sera d’estate, giacevo su una mon­tagna davanti al sole, e mi addormentai. Sognai di ri­svegliarmi al camposanto. […]. Sui muri [ della chiesa] correvano ombre che nessuno proiettava, e altre ombre camminavano erette nell’aria. Nelle bare scoperchiate non dormivano altri che i bambini. Dal cielo pendeva a grandi falde una nebbia grigia […]. So­pra di me sentivo la lontana caduta delle valanghe, sotto di me la prima scossa di un immenso terremo­to. La chiesa oscillava avanti e indietro […].
Ed ecco discendere dall’alto sull’altare, con ine­stinguibile dolore, un’alta, nobile figura, e tutti i morti gridarono: «Cristo! non c’è nessun Dio?».
Egli rispose: «Nessuno». […] «Ho percorso i mondi, sono salito fino ai soli e ho volato con le vie lattee per i deserti del cielo; ma non c’è nessun Dio. Sono disceso fin dove l’essere proietta le sue ombre, e ho guardato nell’abisso e ho gridato: “Padre, dove sei?”, ma ho udito soltanto l’eterna tempesta che nessuno gover­na […].
E quando alzai lo sguardo all’immenso mondo in cerca dell’occhio divino, esso mi fissò con un’orbita vuota, senza fondo; e l’eternità si stendeva sopra il caos […]!».
Vennero […] i bambini morti che si erano svegliati nel camposanto, e si gettarono ai piedi del­l’alta figura davanti all’altare e dissero: «Gesù! non abbiamo dunque un padre?». - Ed egli rispose tra fiumi di lacrime: «Siamo tutti orfani, io e voi, siamo senza padre».
Allora […] le mura tremanti del tempio si aprirono - e il tempio e i bambini sprofondarono - e la terra intera e il sole li seguirono - e l’intero edificio del mondo, nella sua immensità, si inabissò davanti a noi […]
Allora, [Cristo] levò gli occhi al nulla e alla vuota immensità e disse: «Fisso e muto nulla! […] Com’è solo ognuno nel vasto sepolcro dell’universo! […].

(Sogni e visioni, Oscar Mondadori, Milano 1998, p. 92 e ss.)

2.1.2. GERARD DE NERVAL (Poeta romantico francese,1808-1855):



‘Cristo al monte degli ulivi’ (1844)
  “Quando il Signore, alzando le magre braccia al cielo
sotto gli alberi scuri, come fanno i poeti,
si fu smarrito a lungo, nei suoi muti dolori,
e da ingrati fratelli si credette tradito,
si voltò verso quelli che in basso lo attendevano,
che sognavano d’essere re, sapienti, profeti […]…
e si mise a gridare: ‘No, no, Dio non esiste!’[…]
V’ingannavo, fratelli: Abisso! Abisso! Abisso!
Manca il dio sull’altare dove sono la vittima…
Dio non c’è! Non c’è più’. Ma dormivano sempre…[…]
‘L’occhio di Dio cercando, ho visto solo un’orbita
vasta, nera, infinita, dove notte dimora
e s’irradia sul mondo ed è ognora più fitta’ […]”.

(Le figlie del fuoco, Guanda, Milano 1979, p. 271).

2.2. Il nichilismo ‘attivo’: F. Nietzsche

2.2.1. La Gaia scienza. “L’uomo folle”

“Non avete mai sentito parlare di quell’uomo pazzo che, in pieno mattino, accesa una lanterna, si recò al mercato e incominciò a gridare senza posa: ‘Cerco Dio! Cerco Dio!’. Trovandosi sulla piazza molti uomini che non credevano in Dio, egli suscitò in loro grande ilarità. Uno disse: ‘L’hai forse perduto?’ E altri: ‘ S’è smarrito come un fanciullo? Si è nascosto in qualche luogo? Ha forse paura di noi? Si è imbarcato? E’ emigrato?’. Così gridavano, ridendo fra di loro.
L’uomo pazzo corse in mezzo a loro e fulminandoli col suo sguardo gridò: ‘Che ne è di Dio? Io ve lo dirò.
Noi l’abbiamo ucciso – io e voi! Noi siamo i suoi assassini!
Ma come abbiamo potuto fare questo? […]Chi ci diede la spugna per cancellare l’intero orizzonte? Che cosa abbiamo fatto sciogliendo la terra dal suo sole? Dove va essa, ora? Dove andiamo noi, lontani da tutti i soli? […] C’è ancora un alto e un basso? Non andiamo forse errando in un infinito nulla? […]
Non dobbiamo forse diventare noi stessi dèi?
Dio è morto! Dio resta morto! […] Che sono ormai le chiese se non le tombe e i sepolcri di Dio?”
(“La gaia scienza” [1882], in Opere, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 1968, vol. V, t. II, § 125).

2.2.2. Così parlò Zarathustra [1883]

“[…] Creare valori nuovi, di ciò il leone non è ancora capace […]. Un tempo egli amava come la cosa più sacra il ‘tu devi’: ora è costretto a trovare illusione e arbitrio anche nelle cose più sacre […]. Perché il leone rapace deve anche diventare un fanciullo? Innocenza è il fanciullo, e oblio, un nuovo inizio, […] un sacro dire di sì […]”.
(in Opere, cit., vol. VI, t. I, parte I, Delle tre metamorfosi, p. 24).

“Come dobbiamo comportarci di fronte a un pensatore dal quale non possiamo mai ricevere una verità determinata e suscettibile di apprendimento? […] Nietzsche ci istruisce […] nella capacità di afferrare le ambivalenze e le polisemie, nell’agilità di un pensiero che non si fissa in un sapere. Praticando Nietzsche è come se ci liberassimo dei nostri impacci. Nascono delle possibilità, ma non di più. Egli non ci addita un cammino, non ci insegna una fede, non ci colloca in un territorio. […] Collocandoci nel nulla, egli vuole proprio per questa via ampliare il nostro spazio; facendoci vedere il deserto sconfinato, egli vuole proprio per questa via crearci la possibilità di scorgere il vero fondamento da cui veniamo […]”.
(K. JASPERS, Nietzsche e il Cristianesimo, C. Mariotti Edizioni, Milano 2008, p. 137).