scusi lei preferisce un panfilo o uno yacht?

Continua, come promesso nel numero scorso, il dibattito sulla lingua e sulle contaminazioni di vocaboli stranieri; in questo articolo riportiamo una doppia intervista a due insegnanti: Ada Di Nola e Giuseppe Molin, docenti l'una di Inglese e l'altro di Italiano. I nostri lettori potranno notare una notevole differenza di atteggiamento nei confronti delle parole straniere, forse dovuta al diverso ruolo degli intervistati. Come finale abbiamo deciso di riportare un'opinione decisamente favorevole, quella di Piero Ottone, giornalista ed ex-direttore del Corriere della Sera. Il brano è tratto dal 'Il Venerdì di Repubblica'.

a cura di GFP

Abbiamo notato che vi è un uso notevole di parole straniere e in particolare inglesi soprattutto nei quotidiani. Da chi dipende, secondo lei, questa scelta?

Ada di Nola - Il quotidiano, e il giornale in generale, mettono in contatto situazioni e culture diverse e spesso l'uso di parole in lingua originale sottintende una conoscenza comune di quello che la parola esprime. Perciò, nel momento in cui le relazioni internazionali si ampliano, è inevitabile che si ampli anche il vocabolario della singola persona.

Giuseppe Molin - La scelta di utilizzare termini esteri lungo un discorso scritto in lingua italiana non può che dipendere da colui che scrive. Non mi sembra infatti che esiste una particolare "richiesta" specifica dei lettori. È da chiedersi dunque perché colui che scrive opera questa scelta. La può adoperare o per ignoranza (non si rende nemmeno conto che è strano usare termini esteri quando ci può essere il corrispondente italiano) o con coscienza. Se sceglie con coscienza lo può fare o per malizia (il termine estero, in genere inglese, ha connotazioni in quanto inglese, lo perde invece in quanto "quello specifico termine") oppure per incontinenza (esagerando cioè quello che in giusta misura non recherebbe nocumento); si potrebbe definire questo secondo caso anche come uso negativo "per malo obietto" (cfr. Purgatorio XVII, 94 e segg.), mentre il primo è ben stigmatizzato in Inferno XI, 16 e segg. Un esempio di malizia si ha nella introduzione (già fatta dal legislatore, dunque!) del termine "ticket", teso a mascherare il fatto che si tratta di una tassa; termini italiani possibili ce ne sono tanti: tassa, imposta, gabella, taglia, testatico, banalità ecc. Esempi di incontinenza sono (tra i tantissimi) computer per elaboratore, week-end per festività o fine settimana e tutti quei termini "inglesi" non usati nemmeno dagli americani. L'incontinenza di fronte alla lingua inglese rivela ovviamente incontinenza verso gli Stati Uniti d'America.

Pensa che ciò non costituisca un problema, o crede che questo fatto aumenti la difficoltà di lettura del giornale da parte della maggior parte della gente?

Ada di Nola - Senza dubbio vi è maggiore difficoltà di lettura, ma non si deve dimenticare che anche molti vocaboli e espressioni in lingua italiana sono di fatto non compresi da una parte dei lettori. Il problema è educare a strategie di lettura che prescindano anche dal singolo vocabolo e comunque che amplino l'orizzonte lessicale della popolazione.

Giuseppe Molin - Se la lettura del giornale serve a ricevere "informazioni" nel senso corrente del termine, cioè notizie, l'uso dei termini esteri può produrre qualche maggior difficoltà. Ma se, come credo, la lettura del giornale serve a ricevere "informazione" nel senso etimologico, cioè a ricevere una certa "forma" mentale attraverso pretestuosi racconti di accadimenti, i termini inglesi aumentano la forza della "forma" quotidianamente ricevuta, le sedimentazioni nell'animo che non dipendono dalla specifica comprensione dei singoli termini. Credo che, mirando a questa seconda "informazione" si possa ravvisare spesso la "malizia" nell'uso di termini esteri.

Questo uso massiccio secondo lei è preoccupante? È destinato ad arricchire o a stravolgere la lingua italiana? E in questo caso a chi dovremmo attribuire la responsabilità maggiore?

Ada di Nola - La lingua è anche espressione di cultura. Quindi l'inserimento di conoscenza di culture diverse non è negativo, anzi è auspicabile. Nascerebbe invece un problema se una cultura tendesse ad annullarne un'altra. In questo caso la responsabilità non sarebbe imputabile ai mass media (!! parola inglese) ma ad una politica educativa e culturale errata.

Pensa che un giorno parleremo tutti l'inglese come prima lingua?

Ada di Nola - No, perché la cultura anglosassone non ha caratteristiche così imponenti da risultare dominante.

Giuseppe Molin - Credo che non sarà "inglese" quello che sarà parlato come prima lingua; forse l'inglese sta agendo come l'italiano medio di oggi sui precedenti dialetti: riesce a rendere una comunicazione più allargata a discapito della comunicazione più personale.

Che ne pensa dell'uso "improprio" di parole inglesi? Per esempio 'night' al posto di 'night club' ovvero 'locale notturno'; o peggio, parole come conservativo al posto di conservatore?

Ada di Nola - Sono abbrutimenti linguistici. A questo punto sarebbe meglio usare direttamente la parola in lingua originale.

Giuseppe Molin - Secondo me indica che "l'informazione" in senso lato è "informazione" nel senso che indicavo più sopra. È da soggiungere che può "ricevere forma" solo ciò che non ne ha una precedente: dunque c'è una carenza o una abdicazione nella formazione di partenza (a cominciare dalla scuola). Ma ricorderei il detto latino a tutti coloro che dovrebbero pensare appunto a questa formazione; "nemo dat quod non habet" (non si può dare ciò che non si ha).

Cosa nel pensa del fatto che ormai la maggioranza degli italiani dice 'ok' al posto di 'va bene'?

Ada di Nola - È un fatto culturalmente deprimente, indotto da una certa scelta di prodotti, soprattutto televisivi, di bassa qualità. Si riscontra comunque in gran parte delle nazioni e si può dire che ormai sia entrata nei singoli vocabolari perdendo la propria identità originaria.

Pensa che il fatto che in Italia si conoscano male le lingue straniere (non mi dica che non è vero: li sente gli strafalcioni alla televisione) e il fatto che si usino tante parole straniere, siano in qualche modo collegati?

Ada di Nola - Senza dubbio l'uso errato della lingua straniera è dato da scarsa istruzione e tentativo di sprovincializzarsi. La somma dei due fattori causa una situazione penosa specie se espressa attraverso la comunicazione di massa.

Giuseppe Molin - Penso che sia proprio così: la lingua straniera (specie l'inglese) proprio in quanto sconosciuta ha una valenza magica, un po' come il latino di Don Abbondio per Renzo. È da dire che quel che vale per le lingue straniere (inglese in particolare) valeva (e forse vale ancora in gran parte) per le lingue antiche (latino in particolare): quanto più era, ed è, sostanzialmente ignota, tanto più valeva, e vale forse, come elemento distintivo sociale.

E' favorevole all'introduzione dell'insegnamento delle lingue straniere fin dai primi anni delle elementari?

Ada di Nola - Il discorso è complicatissimo. Non è l'insegnamento il problema, ma quale insegnamento e in quale struttura scolastica. Non è comunque, anche se effettuato nelle migliori condizioni, un mito da raggiungere ad ogni costo. La cultura linguistica e l'apprezzamento di culture diverse è valido in ogni età.

Giuseppe Molin - No, in quanto credo che il problema di un serio apprendimento delle lingue estere non sia principalmente, o prima di tutto, di tempi ma di generale impostazione o cultura. Mi sembra che, così stando le cose, rinforzerebbe il valore "magico" (vedi l'aprioristica richiesta di inglese nella scuola media e il disinteresse di tutti per quello che non si impara).

Dico chic e me ne vanto

di Piero Ottone

Abbiamo voluto riportare questa ultima testimonianza in ossequio a una certa '"par condicio'": in fondo gli altri interventi, sia pure con sfumature diverse, erano piuttosto critici, o perlomeno dubbiosi. Occorreva dunque l'opinione di un entusiasta della parola straniera. Tuttavia, a questo punto, non resistiamo alla tentazione di fare qualche commento. Ci è capitato altre volte di sentire pareri favorevoli anche da parte di persone autorevoli nel campo della comunicazione e della lingua. Curiosamente queste persone manifestano idiosincrasia per alcune espressioni o parole usate comunemente dalla gente comune (uno di loro, per esempio, odiava la parola "praticamente") e non fanno una piega quando sentono "shopping", "weekend", ecc.
Così il nostro Piero Ottone si disgusta a sentire pronunciare la parola "panfilo", perché la sente come una imposizione autoritaria e anacronistica (operata dal regime fascista); ma non si accorge di entrare immediatamente in contraddizione quando, appena qualche riga più giù ammette che la parola "autista" è stata voluta per contrastare l'uso di "chauffeur" e giustamente ha avuto la meglio; e allora: perché mai non si dovrebbe poter usare "panfilo"? A chi fa venire l'orticaria?
Ma la cosa che più ci ha colpito è la grande ingenuità con la quale ammette che, quando era direttore del Corriere della Sera, censurava bellamente i suoi giornalisti obbligandoli dunque a usare "yacht". Ci faccia capire! Ma non ha appena detto: "Lasciamo che tutto avvenga in modo spontaneo: siamo liberali"? Quando sembra assalito da qualche dubbio, il nostro si giustifica dicendo che il termine straniero "si impone per la sua brevità" (chissà perché? questo è un argomento che sentiamo spesso e ci sarebbe tanto da discutere). Infine si consola con il fatto che pizza si chiama così in tutto il mondo. Vale la pena ricordare che c'è un altro paio di parole che sono diffuse in tutto il mondo; una è spaghetti e l'altra è mafia. Se questo ci può consolare...