il tombolo

Iniziamo con questo numero la pubblicazione di un lavoro di ricerca del laboratorio di “Tradizione Orale” dell’anno scolastico 1991/92, sui mestieri femminili. Un doveroso omaggio al lavoro svolto dal Prof. Gabriele Stoppani, mente vulcanica del gruppo, e alle altre componenti che sono: Lucia Vianello, Paola Rallo, Clara Bullo, Loredana Vascon che, con una paziente ricerca, hanno contribuito a salvare un patrimonio di cultura e di arte che va scomparendo.

a cura di Giancarlo Vianello

Le donne nel corso della storia hanno sempre contribuito col loro lavoro a tenere in vita delle attività artigianali di prestigio, il più delle volte con scarsi apprezzamenti culturali e pochi riconoscimenti giuridici. Anche a Mestre e dintorni molte donne, per lo più sconosciute al pubblico, hanno lavorato per vivere producendo nel contempo oggetti di valore artistico che sono il frutto della cultura popolare. Cominciamo con un mestiere molto antico, un tipo di merletto che tanto ha contribuito a far conoscere Venezia e la sua laguna nel mondo:il merletto a tombolo.

E a tale proposito ci siamo recati a Pellestrina l’isola che da molti secoli è depositaria a Venezia dell’arte del ricamo a tombolo. Siamo nella scuola “El Murasso”, l’istituto che gestisce il museo del tombolo e ne propone l’insegnamento a ragazze e signore. L’immagine che vi proponiamo, emblema della scuola, l’abbiamo scelta come copertina di questo capitolo. La scuola sostenuta dalla regione è frequentata gratuitamente da quante persone vogliono imparare il ricamo a fusello. Le pareti sono adornate di bacheche le quali contengono i lavori eseguiti che poi rimangono in dotazione alla scuola. Ogni alunna è intenta al suo lavoro, hanno un cavalletto arcuato per appoggiare il tombolo o “balon”, che è riempito di paglia fine per imballaggio. Appoggiato vi sta il disegno il quale è molto importante perché sopra vi viene eseguito il ricamo facendo volteggio su volteggio con il filo arrotolato nel fusello. I fuselli sono dei bastoncini di legno fatti per arrotolare il filo, servono e svolgono la funzione della spola; più grande è il lavoro più fuselli devono essere adoperati, ogni fusello è riempito di filo sottile ed è indipendente dall’altro per cui tutti devono essere girati per formare il ricamo; dopo alcuni giri viene fermato il lavoro con spilli; per fissare o saldare le ricamatrici adoperano l’uncinetto. Questi sono i pochi arnesi che vengono adoperati, il tutto è eseguito a mano alternando 3 o 4 punti fondamentali. E’ la mano di ciascuna ricamatrice che da bellezza al ricamo a fusello, che morbido o fitto, l’importante è che sia perfetto.

Nella scuola oltre al ricamo viene impartito l’insegnamento della storia dell’arte e del disegno artistico. Oggi con la fotocopiatrice si possono riprodurre tanti disegni. Un tempo però tale riproduzione era molto difficile e le donne di Pellestrina avevano inventato un sistema funzionale: copiavano un disegno su una carta da riso con una matita copiativa e poi la mettevano al sole affinché questo venisse trasferito su una carta bianca, un sistema che oggi si chiama eliografia. In questi ultimi anni nonostante l’interesse rivolto alle arti decorative e alla storia del costume, non è stato ancora svelato il mistero delle origini del merletto a Venezia. Le attività di decorazione, sin dai primi secoli, erano organizzate in corporazioni protette e vigilate dallo stato, ciò che non è ancora avvenuto per le arti delle trine e del merletto, quelle dell’ago e quindi anche del tombolo.

Nel tardo 1500 il merletto ebbe un’esplosione a fuoco d’artificio ed è verosimile credere che proprio in questo periodo se ne trapianti la produzione nelle isole, l’ago a Burano, il filet a Chioggia e i fuselli a Pellestrina. Ufficialmente per una questione di carità, per creare posti di lavoro ai meno abbienti. In realtà era più vantaggioso avviare una lavorazione in luoghi isolati limitati per risorse economiche e sovrappopolati. Non informati sui costi di produzione e con minori occasioni di distrazioni le ricamatrici isolane garantivano una migliore qualità e una produzione maggiore a costi più bassi di quelli urbani.

Chiudiamo l’excursus storico-culturale sulla scuola “El Murasso” di Pellestrina con un quadro significativo del Museo. Ce ne parla la signora Egide - la direttrice della scuola - che segue tutte le allieve consigliandole sui disegni e correggendone gli errori. Il quadro, ci spiega lei, rappresenta una ricamatrice che detiene una sorta di primato dei Guinnes: adopera contemporaneamente sul tombolo ben 500 fuselli. Siamo ritornati a Pellestrina invitati da una allieva della scuola “El Murasso”:la giovane Sabina Busetto. Ed eccoci nella caratteristica isola lagunare, una terra che ha conservato integre le proprie attività storiche: il merletto e la pesca oggi integrate, ovviamente, con più moderne occasioni di lavoro. Dopo una passeggiata tre le intricate calli dell’isola, nel quartiere dei Busetto, abbiamo trovato l’abitazione di Sabina la cui famiglia, per distinguerla dalle molte altre omonime, è soprannominata “Bauno”. Sabina la rivediamo a casa intenta a darci la dimostrazione di ricamo senza l’occhio vigile dell’ insegnante ma tenendone presente i consigli.

Sabina racconta: “Ho fatto un’esperienza di lavoro come dimostratrice, in un noto negozio di merletti a Venezia, i turisti erano ammaliati dal gioco che facevano le mie mani e dal suono articolato dei fuselli. Il negozio era gremito di oggetti di ricami ma non tutti erano artigianali, venivano spacciati per veri anche quegli oggetti fatti a macchina”. Ecco invece un suo lavoro del tutto originale, è un quadro della Madonna, Sabina ama infatti i soggetti classici, ma forse il futuro del merletto, secondo noi, starà nella sua evoluzione, cioè nella capacità di coniugare sapiente-mente il passato e il futuro introducendo anche nell’ oggettistica delle novità. Ecco una zia di Sabina, Minichina, due mani esperte e veloci nel far volteggiare i fuselli, continua a lavorare la Madonna di Sabina e ci mostra a lato un suo meraviglioso lavoro finito. Lei stessa così racconta: “Ho imparato questo lavoro da mia madre quando avevo 5 anni, sedevo vicino a lei, e per me era come un gioco veder girare e volteggiare i fuselli, mi piaceva il loro suono ed il risultato finale. Ricordo mia madre e mia nonna lavoravano per integrare le magre finanza familiari, si alzavano presto e lavoravano fino al tramonto, finché la luce glielo permetteva ma i guadagni erano scarsi. Le ordinazioni erano procurate loro dalle “mistre” (imprenditrici) le quali piazzavano il lavoro finito a volte anticipando alle lavoranti il denaro pattuito, perché la miseria e la fame erano grandi, le “mistre” erano forse le uniche a guadagnare veramente in tutta questa operazione".

Sabina ci congeda riflettendo sul suo futuro: non vorrebbe lasciare Pellestrina né il tombolo per altre destinazioni e diversi lavori magari più remunerativi, costretta dal bisogno, insomma. Sogna di dedicarsi ai suoi ricami traendone soddisfazione morale ed economica. Ci accingiamo a riprendere il “vapore” per Chioggia. Tra le calli, strada facendo, incontriamo delle anziane ricamatrici all’opera davanti casa. Ne approfittiamo per delle interviste fuori programma. Ci avviciniamo ad una casa bianca a piano terra, una donna anziana di statura alta ci sorride e continua a cantare a squarciagola; aveva appena terminato un centro ricamato a fusello, si sentiva felice e ci racconta: “Un tempo facevo molto lavoro ora sono vecchia faccio quel che posso, lo porto a S. Maria del Mare, lì viene sempre molta gente qualcosa si vende. Se guadagno? Se faccio il conto non so se riesco a prendere 500 lire all’ora, ma qui il tempo non conta, conta il lavoro anche se sono poche lire. Mi piace questo lavoro, soldi ne ho pochi, ma servono anche quelli”. Ci saluta, riaccendendo la radio. Noi riprendiamo il cammino, felici per il lavoro compiuto, un po’ amareggiati per il destino incerto con cui la nobile attività del ricamo, ieri e oggi, ha fatto e continua a fare i conti.