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a cura di Giancarlo Vianello

L’ultima proposta del nostro breve viaggio attraverso i mestieri femminili che vanno scomparendo è quello della perlaia, mestiere tipicamente veneziano. Non si tratta della “impiraressa” ma proprio della donna che produceva e costruiva le perle di vetro.
 

Oggi esistono parecchi laboratori di perle a Venezia. Ne abbiamo visitato uno e ve ne proponiamo, attraverso queste righe, alcune immagini: la materia prima è costituita dal vetro raccolto in canne o “pive”. Queste vengono successivamente scaldate e lavorate dal maestro o dalle macchine infine le donne le assemblano in collane o altri oggetti di bigiotteria. Un tempo non c’erano macchine, le perlaie eseguivano il lavoro in casa o in piccoli laboratori artigianali, non godevano di un buon trattamento economico né di garanzie sindacali. Era un mestiere faticoso e mal retribuito. Ce ne parla Elda Giolo una signora di 79 anni. Cominciò a lavorare a 10 anni, la sua prima giornata di lavoro le rimase fortemente impressa e racconta: “Mi sedetti in un banco davanti ad altre lavoranti dove usciva un cannello di gas e con tante canne multicolori di vetro. Quel giorno dovevo aiutare e guardare ma alla sera, dopo 12 ore di lavoro, chiesi quando avrei terminato; mi sentivo stanca, mi risposero che sarei uscita quando lo stampo che adoperavo si fosse consumato”. Non si spaventò ma giorno dopo giorno si sentiva attratta da questo lavoro. Seduta al banco, malgrado la lastra protettiva il calore del gas si faceva sentire sia sul viso che sul corpo, le mani erano le più esposte perché una mano teneva la canna e con l’altra un filo di ferro. Qui ci vuole inventiva perché molto sta nella capacità di comporre la perla, nel possedere il senso del colore e del disegno il tutto da fondersi attraverso il calore del fuoco. Allora le perle erano eseguite a mano, ora invece vengono eseguite a macchina. Vedere queste macchine è interessante perché eseguono tutti i movimenti coordinati che facevano le perlaie, ogni macchina sostituisce una lavorante ma la differenza sta che la macchina non si stanca e basta una sola persona a sorvegliarne una decina. La signora Giolo trova una differenza nelle perle eseguite a macchina, sono perfette ma senza anima. Certo perché sopravviva la perla artistica oggi, c’è bisogno che la macchina lavori al posto delle perlaie. La signora Elda fa sentire la sua voce, è simile a un menestrello che riesce, attraverso il canto, a trasferire quello che ormai sembrava essere perduto. Il suo è un canto semplice, canta le sue fatiche, le gioie, i dolori, le sue parole servono a sdrammatizzare quello che la vita penalizza in maniera forte, il suo poetare è un continuo elaborare il proprio lavoro eseguito con pochi arnesi e soprattutto con le mani scottate e bruciate. Una sua poesia è dedicata a Venezia: una madreperla che forse l’ispirò per produrre con il vetro i colori, le trasparenze, i mosaici e le “murrine”. La signora Elda Giolo, ora in pensione, si diletta a scrivere, come ha sempre fatto, poesie in vernacolo. Fa parte dell’Associazione “il Burchiello” conosciuta per l’impegno di conservare l’arte di poetare in dialetto.

CONSEGUENSE DE ‘NA VECIA PERLERA

Sinquant’ani de lavoro i xe tanti
e pensè che i go fati sempre in guanti
ghe tegno al decoro
se no proprio no lavoro
saria andada anca in capeo
ma no gò trovà el modeo.

Diese ani mi gavevo che me gò sentà in carega
ai setanta so passada e so ancora la sentada
‘na lastra gò davanti
che me varda tuti quanti
e i me crede in soasa
come un quadro drento casa.

E mie man xe tute roste
rosse come aragoste
basta un poca de insalata
che la sena la xe fata.
Tuto el gas che mi respiro
el me manda in delirio
go da esser inquinada
o trequarti aveenada.

Co i me varda che lavoro
i me dise tuti in coro:
Mama mia che artista
e intanto no gò più vista.

No ocore che me piega
gò xà la forma dea carega
ogni tanto ‘na puntura
so un rotame adiritura.

Ma che importa stò disagio
so rivada a un bel miragio
i me passa cavalier
questo si che xe un piasser.

I me dà ‘na bea medagia
da persona tanto sagia
ma però mi no so gaia
gò firmà la me vechiaia
e no manca che co sti sùori
la me pension ghe resta a lori.