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di Mila Di Francesco

Dalla mostra di opere di Pablo Picasso a Palazzo Grassi. Considerazioni ed emozioni
 

Nella corte centrale di Palazzo Grassi il sipario realizzato da Picasso per il balletto “Parade” accoglie il visitatore, proiettando in un mondo ugualmente realistico e fantastico popolato di maschere, cavalli alati, Arlecchini; e lungo il percorso della mostra, in cui conoscenza ed emozione si alternano, è tutto uno snodarsi di tipologie iconografiche: le scenografie, i costumi per i balletti, i ritratti, le donne alla fontana, le fioraie di Piazza di Spagna, i tenerissimi bambini.
Tutto - o quasi - all’insegna della riconoscibilità della forma rispetto al suo significato. Picasso viene spesso identificato solo per il cubismo, momento altissimo che egli ha creato ed elevato a categoria estetica di spregiudicata trasformazione del linguaggio artistico del nostro secolo. Ma Picasso è stato un artista geniale, multiforme, che ha sperimentato - e spesso anticipato - una buona parte dei movimenti moderni, con la capacità di affermare e dopo negare, aspirando costantemente al superamento dei traguardi, anche con esperienze apparentemente opposte.
picasso1.jpg - 46244 BytesEd è ciò che appare in questa mostra, dalla quale emerge un Picasso “classico”, di saggezza inattesa”*, in sintonia con il “ritorno all’ordine” (che in Italia ha prodotto movimenti artistici quali Valori plastici e Novecento) dopo l’euforia della stagione cubista (e futurista).
C’è da chiedersi, però, se Picasso sia veramente tornato all’ordine e se non si tratti invece della continuazione di un percorso di ricerca espressiva, nel quale è stato certamente importante il viaggio in Italia compiuto dall’artista nei primi mesi del 1917. A Roma, Napoli, Pompei, Firenze egli, infatti, annotò un gran numero di suggestioni artistiche, etniche, ambientali, che servirono certamente come spunto per opere successive.
Forse, allora, è possibile capire l’origine di queste stupende figure monumentali, donne, uomini grassi, nobilissimi, efebici; arlecchini, fanciulli; ci attirano forse perché in essi riconosciamo Stravinskij, Diagilev, Olga Koklova, la moglie, il piccolo Paulo Picasso, gli eroi della ceramica antica.
Ma forse prima, nella fase cubista (e dopo) non si riconoscono ugualmente Arlecchino, Pulcinella, Kurt Kanweiler, Ambroise Vollard, la donna allo specchio, Maya la figlia che porta il nome della sorella morta? Si tratta solo di modificare alcuni concetti propri della percezione visiva e pensare al cubismo come alla negazione della spazialità prospettica brunelleschiana, a favore della scomposizione degli oggetti e della compenetrazione tra essi e lo spazio, ma anche di una visione totale della realtà, da tutti i punti di vista. Mentre, nella fase “classica”, prevale l’unica veduta, più soggettiva, e si vede, ad esempio un solo profilo, l’altro va immaginato, a favore di una resa formale e rigorosa e controllata. picasso3.jpg - 53096 Bytes
Sì, proprio la forma. Disegnata dall’artista con un segno di matita o carboncino nitido e sicuro, senzaun ripensamento o una diminuzione del tono comunicativo, come se esistesse già completa nella sua mente, realtà totale pronta a trasmettere un carattere o una caratteristica, un’emozione, un’aggressione o gli esiti del proprio destino; resa a chiaroscuro col variare dei grigi e delle terrecotte, con un volume in continuo divenire, pulsante e ritmico; forma dipinta, con le tenui trasparenze dell’acquerello, la velata corposità del gouache, la forte intensità della pittura ad olio, ma sempre con una scelta voluta di rapporti cromatici (chiaro-scuro, caldo-freddo, luminoso-cupo). E sempre con l’appartenenza ad un percorso creativo fatto di tante esperienze nuove e diverse, ma nello stesso tempo legate alle precedenti, che hanno fatto esaltare o biasimare, da una parte del pubblico e della critica, uno dei più geniali artisti del nostro secolo.

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