a cura di Aldo Ghioldi


Breve sintesi storica ricavata dal libro “Uomini, cose e fatti di Mestre” di Luigi Brunello e dall’ascolto delle conferenze tenute da Sergio Barizza svoltesi presso l'Auditorium Monteverdi di Marghera e la S.M.S. "Giulio Cesare" di Mestre.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel 1250 terminata la tirannide degli Ezzelini, Mestre divenne suddita di Treviso che la governò fino al 1338 per mezzo dei Capitani. Terminata la dominazione trevigiana, per oltre quattro secoli Mestre, con il territorio annesso, fu governata da Podestà e Capitani eletti dal Maggior Consiglio della Serenissima. La Repubblica di Venezia nei territori di terraferma conquistati avocava a se tutto il potere legislativo mentre esercitava il governo sugli stessi per mezzo dei suoi funzionari.
I Podestà esercitavano sul territorio a loro affidato funzioni amministrative e giudiziarie.
Il primo Podestà e Capitano di Mestre fu Francesco Bon da S. Cassiano, l’ultimo Daniele Contarini, eletti rispettivamente negli anni 1338 e 1796.
Nel 1361 fu aperto al traffico un canale, il Canal Salso, che collegava la Laguna con Mestre partendo da S. Giuliano svolgendosi quasi rettilineo fino all’altezza di Piazza Barche.
Fu per quei tempi un’opera veramente grandiosa e per oltre cinque secoli costituì una delle più importanti arterie lungo le quali si svolgeva il commercio tra la Terraferma e le isole della Laguna.
Il Canal Salso fu costruito dai veneziani, per avere una base in terraferma per il proprio approvvigionamento. L’avevano fatto per avere da Mestre i rifornimenti agro-alimentari e legna. Il canale non serviva solo per le comunicazioni con Mestre, ma serviva anche per i nobili veneziani per venire in terraferma. Nel penultimo decennio del ‘700 Mestre visse un momento felice: un conti-nuo via vai di persone da e per Venezia, una miriade di ville e palazzi per la villeggiatura. Mancava un teatro.
Il gentiluomo veneziano Almerigo Balbi progettò di colmare tale lacuna, facendo costruire un teatro pubblico in uno stabile di sua proprietà alle Barche. L'idea di un teatro a Mestre fu dal governo veneto molto apprezzata perché era "nelle villeggiature un nuovo modo di onesto trattenimento". L'edificio, dove era inserito il teatro, si estendeva dalle Barche sino alla via Mestrina e comprendeva locali ad uso caffè, confetterie, botteghe, camere per le prove, corridoi, sale, camere da conversazione e da gioco. L’inaugurazione avvenne il 15 ottobre 1778 con la partecipazione di tutta la nobiltà di Venezia e di Treviso, accorsa in gran numero.
Chiuso nel 1796, in seguito al passaggio di Napoleone, il Teatro fu riaperto nel 1798, ma i tempi ormai erano mutati. La vita brillante di Venezia e della sua terraferma, per l’Europa tutta simbolo di prosperità, si era ottenebrata sotto il dominio asburgico. Una parte del Teatro fu demolita nel 1811 per costruirvi delle private abitazioni, la demolizione continuò nel corso del secolo finchè del Teatro non restò neppure il ricordo. Il 16 Luglio del 1797, in seguito all’occupazione del Veneto da parte di Napoleone, in Mestre fu instaurata la Municipalità. Ma solo tre mesi dopo in seguito al trattato di Campoformio il Veneto tornò sotto il dominio austriaco e le Municipalità vennero dichiarate decadute e Mestre si ritrovò a dipendere dal governo centrale di Treviso. Circa nove anni dopo il Veneto ritornò in mano ai francesi e il 26 Maggio 1806 Mestre costituì il Comune con un Consiglio comunale composto da quaranta membri e un Podestà di nomina governativa. Caduto Napoleone il Veneto tornò all’Austria ed aggregato alla Lombardia formò il regno Lombardo-Veneto. Il 22 ottobre del 1866 il Comune di Mestre con 1908 voti favorevoli e nessun contrario manifestava la propria volontà di far parte del Regno d’Italia.
Nel frattempo, grazie alle industrie, Mestre si fa grande. Sulle rive del Canal Salso si costruiscono una fornace, la fabbrica di scope, lo stabilimento di oli, in altro luogo la Società del Tram elettrico, in Via Rosa una tipografia, in Via Fratelli Bandiera la fabbrica di profumi "Vidal", in Via Torino i Magazzini Generali per depositarvi il cotone. A cavallo tra 1800 e il 1900, la ferrovia favorisce la prima grande crescita di Mestre viene infatti creato un parco ferroviario per lo smistamento delle merci.
Come secondo motivo di crescita demografica c'è l’arrivo dei militari; una città con circa 10.000 abitanti, si vede arrivare circa 2.200 militari oltre ai 3.000 e più ferrovieri già insediati nelle vicinanze della stazione. Per dire come questa nuova e massiccia presenza di soldati sconvolse il territorio basti pensare che le Autorità sono costrette ad aprire i "casini", proprio per far fronte ai bisogni sessuali dei militari in modo che questi non infastidiscano la popolazione femminile del luogo.
Il 27 ottobre del 1912 viene inaugurato l’acquedotto, ne usufruirono all’incirca 1.000 utenti su una popolazione di circa 18.000 abitanti.
Già verso la fine del 1800 Venezia dimostra la sua completa inadeguatezza a diventare un centro industriale all’altezza dei tempi, manca tra l'altro di una stazione portuale che competa con altri scali marittimi del bacino Mediterraneo. Venezia pensò di far espandere in terraferma i complessi commerciali ed industriali esistenti nel territorio insulare. Fu così che nel maggio del 1917 con decreto governativo venne espropriato un vasto territorio del Comune di Mestre che passò in proprietà alla Società "Porto industriale di Venezia" alla quale fu affidata l’esecuzione dei lavori per la creazione di quello che oggi è conosciuto con il nome di Porto Marghera. Nel 1919 ebbero inizio i lavori di canalizzazione e di bonifica.
A Marghera intanto crescono le industrie e il quartiere urbano, diviso dalle fabbriche da via Fratelli Bandiera.
Le proteste per la vicinanza delle fabbriche iniziano subito nonostante la fame di case che c’era. Il quartiere urbano progettato per diventare una "Città Giardino" è realizzato per 1/6 rispetto alle previsioni perché sono mancati gli incentivi pubblici.
Hanno incominciato a costruire i privati, poi la Cooperativa Ferroviaria, poi l’IACP del Comune e anche l’Ente Autonomo che ha edificato anche delle villette.
Nella Città Giardino però non andavano ad abitarci i poveretti, l’IACP costruiva le case per il ceto medio borghese, e i poveri rimanevano senza casa.
Quando si sono accorti che i poveri rimanevano senza casa hanno incominciato a edificare le case popolari, sono quelle di Via Calvi.
Nel 1934/38, tre villaggi di baracche sono stati costruiti: a Cà Emiliani, a Cà Sabbioni e a Cà Brentelle, queste baracche sono esistite sino al 1966.
Gli industriali ingaggiavano la manodopera dalle campagne, pertanto la classe operaia di Marghera è nuova e senza tradizioni di lotta all'inizio.
A differenza di Venezia dove c’era una classe lavorativa che da sempre era la punta più avanzata del socialismo italiano, gente che faceva scioperi durissimi, gente che lavorava ai Cantieri Navali, all’Arsenale.
Già da allora tra veneziani e mestrini ci sono state delle liti, perché mentre gli operai "contadini" a casa avevano l’orto da coltivare, gli operai veneziani vivevano solo del proprio salario.
Il 15/7/1926 con decreto ministeriale, il governo Mussolini toglieva ogni autonomia amministrativa al Comune di Mestre che unitamente a quelli di Favaro, Zelarino, Chirignago, Burano e Murano diventava una frazione del Comune di Venezia.
Dopo il secondo conflitto mondiale lo sviluppo del porto industriale non trovò sosta tanto che nel 1967 gli stabilimenti erano più di duecento.
Parallelamente allo sviluppo del centro industriale procedeva quello urbano con il richiamo nella zona di molti abitanti del centro storico, delle isole e dei comuni limitrofi di terraferma.
Ulteriori programmi di ampliamento della zona industriale furono bloccati in seguito alla sempre maggiore presa di coscienza dei gravi danni che l'indiscriminato e non regolamentato sviluppo dell'industria, avrebbero potuto portare all'ambiente naturale, come d'altra parte testimonia l'iniziativa che ha fatto sorgere un quartiere urbano a ridosso di una zona industriale.
Per la verità, nel 1937 Mestre tentò di varare un piano regolatore. Lo mandarono a Roma e dopo due anni nel 1939 lo rimandarono indietro adducendo dei pretesti quali le strade troppo larghe o marciapiedi mal disegnati.
Si rimisero a studiarlo, la riedizione è del 1942, e lo rinviarono a Roma nel giugno del 1943.
Il 25 luglio cade il fascismo, nessuno a Roma, c’è da pensarlo, aveva voglia e tempo di guardare il piano regolatore di Venezia per la terraferma e Mestre.
Perciò nel dopoguerra, Mestre si è trovata senza un piano regolatore.
All’inizio hanno tentato con la giunta di G. Gianquinto senza riuscirvi.
Il piano regolatore è del 1962, ma evidentemente non fu tenuto nella dovuta considerazione dalle Autorità preposte, così sono stati costruiti dei quartieri disordinati.


L’archivista dott. Sergio Barizza nelle sue conferenze, oltre a spiegare come su un CD da lui impostato, si possano trovare varie informazioni su Mestre, per poi completare la ricerca presso l’Archivio, ha ricordato alcuni fatti storici che sono successi a Mestre e ad una domanda su cosa significa la sigla CITA ha così risposto:
CITA non è una sigla, ma un cognome di un industriale vicentino, Cita Alessandro che nel 1897 avviò un’industria di prodotti chimici per l’agricoltura. 
Nella zona, esisteva pure un deposito di legnami di un certo sig. Scarpa e una fabbrica di pali in cemento dei sigg. Rossi & Tranquillo.
Quando hanno costruito le case in questa zona di Marghera, hanno pensato di chiamarlo Quartiere Cita.

 

per approfondire:  .Archivio storico di Venezia

 Comune di Venezia - Mestre